05/12/2025
𝐎𝐠𝐠𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐨𝐧𝐨𝐫𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐫𝐞𝐥𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐚 𝐮𝐧 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐯𝐞𝐠𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐬𝐢𝐧𝐝𝐚𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐦𝐞𝐝𝐢𝐜𝐨 𝐀𝐧𝐚𝐚𝐨 𝐀𝐬𝐬𝐨𝐦𝐞𝐝 𝐞 𝐩𝐚𝐫𝐥𝐞𝐫𝐨̀ 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐭𝐞𝐦𝐚 𝐬𝐜𝐨𝐭𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐞 𝐚𝐭𝐭𝐮𝐚𝐥𝐞. 𝐋𝐞 𝐫𝐢𝐩𝐞𝐫𝐜𝐮𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥❜𝐚𝐯𝐯𝐢𝐬𝐨 𝐝𝐢 𝐠𝐚𝐫𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚 𝐬𝐮𝐥 𝐦𝐞𝐝𝐢𝐜𝐨: 𝐮𝐧 𝐭𝐞𝐫𝐫𝐞𝐦𝐨𝐭𝐨 𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐧𝐳𝐢𝐚𝐥𝐞.
𝐕𝐨𝐢 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐧𝐞 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐭𝐞? 𝐒𝐨𝐧𝐨 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐜𝐮𝐫𝐢𝐨𝐬𝐨 𝐝𝐢 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐯𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐨𝐩𝐢𝐧𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐧𝐞𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢. 💬
L'avviso di garanzia rappresenta per un medico un evento sismico che scuote le fondamenta stesse della sua identità professionale e personale. Questo momento segna l'inizio di un percorso tortuoso che va ben oltre le mere implicazioni legali, penetrando in profondità nella psiche del professionista sanitario.
La notifica giudiziaria irrompe nella vita del medico come un fulmine a ciel sereno, generando uno shock emotivo immediato che spesso sfocia in uno stato di paralisi psicologica. L'incredulità iniziale lascia rapidamente spazio a un vortice di emozioni contrastanti: dal senso di ingiustizia alla paura per il futuro, dalla rabbia per l'accusa alla vergogna per il potenziale danno alla reputazione. Questa tempesta emotiva può manifestarsi attraverso sintomi ansiosi acuti, attacchi di panico e alterazioni significative degli schemi di pensiero.
La professione medica si fonda su un patto di fiducia con la società, e quando questo viene messo in discussione attraverso un avviso di garanzia, il medico sperimenta una profonda crisi di identità professionale.
Il dubbio sulla propria competenza diventa un compagno costante, erodendo quella sicurezza necessaria per prendere decisioni cliniche spesso vitali. La paura di commettere ulteriori errori può portare a un ipercontrollo patologico o, al contrario, a una paralisi decisionale che compromette la qualità delle cure.
Le ripercussioni si estendono inevitabilmente alla sfera relazionale. Il medico può iniziare a percepire i colleghi come potenziali giudici, isolandosi progressivamente per evitare il confronto con chi potrebbe conoscere la sua condizione giudiziaria.
Anche i rapporti con i pazienti si trasformano, diventando più difensivi e meno empatici, con il timore costante che ogni interazione possa essere strumentalizzata nel procedimento legale.
Sul piano psichiatrico, la letteratura specialistica evidenzia come lo stress derivante da procedimenti giudiziari possa innescare o aggravare disturbi dell'umore come depressione maggiore, disturbo d'ansia generalizzato e in alcuni casi anche sindrome da stress post-traumatico. Non sono rari i casi nei quali si sviluppa una franca ideazione suicida e purtroppo esistono anche casi documentati in letteratura di suicidi portati a termine nei medici. La combinazione di pressione lavorativa, senso di colpa e incertezza giudiziaria crea un terreno fertile per lo sviluppo di veri e propri quadri clinici che richiedono intervento specialistico.
Il sonno diventa spesso la prima vittima di questo stato di allerta permanente, con insonnia e incubi ricorrenti che alimentano un circolo vizioso di affaticamento e difficoltà cognitive. La capacità di concentrazione si riduce, la memoria diventa meno affidabile e lo stesso esercizio della professione medica, che richiede massima lucidità, ne risente significativamente.
La sindrome della "seconda vittima", ben documentata in ambito sanitario, descrive proprio questa condizione in cui il medico, oltre a doversi occupare del paziente danneggiato (la “prima vittima”), diventa egli stesso vittima delle conseguenze psicologiche dell'errore o presunto tale. Questo stato può protrarsi per mesi o anni, accompagnando l'intero iter giudiziario e lasciando strascichi anche dopo la conclusione del procedimento.
A seconda delle personalità e dei temperamenti del medico si possono sviluppare disturbi psichiatrici lievi, tipo quella che chiamiamo ansia reattiva, oppure disturbi molto gravi al rischio di incolumità, come la depressione maggiore, il disturbo postraumatico da stress, la sindrome del burnout, e persino crisi psicotiche. in tutte queste sindromi, come ho già accennato sopra, il rischio di ideazione suicidaria è sempre presente.
La guarigione da questa esperienza traumatica richiede non solo una risoluzione legale favorevole (ove possibile), ma soprattutto un vero e proprio percorso di ricostruzione psicologica che passi attraverso il supporto professionale, il reinserimento nella comunità medica e la riconquista della fiducia in se stessi.
Il sistema sanitario dovrebbe prevedere meccanismi di sostegno specifici per i professionisti che si trovano ad affrontare questa prova, riconoscendo che la tutela della salute mentale dei medici è essenziale per garantire la qualità delle cure a tutti i pazienti.