Dott.ssa Ilaria Rapacchietta Psicologa-Psicoterapeuta

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Come si fa ad ignorare?!
06/11/2025

Come si fa ad ignorare?!

Come ha sottolineato Dan Olweus, psicologo norvegese considerato il primo studioso ad aver teorizzato il fenomeno, il termine bullismo – dall’inglese bullying – indica una forma di aggressione, fisica o psicologica, che si manifesta in modo intenzionale, ripetuto e protratto nel tempo. Si tratta di un comportamento messo in atto da una persona, o da un gruppo, nei confronti di un’altra percepita come più vulnerabile o incapace di difendersi.
Da questa definizione emergono tre elementi fondamentali che permettono di distinguere il bullismo da semplici episodi di conflitto o aggressività occasionale.

Come ha spiegato Dan Olweus, il bullismo non è un semplice atto di aggressività, ma un comportamento complesso che si fonda su tre caratteristiche precise: intenzionalità, persistenza e asimmetria di potere.

Innanzitutto, il bullismo è intenzionale. Può sembrare un aspetto ovvio, ma ogni volta che si verifica un atto aggressivo è necessario chiedersi se esista, da parte dell’autore, una volontà chiara e consapevole di ferire. Il bullo non agisce d’impulso, né risponde a un torto percepito: ciò che lo muove è una premeditazione lucida, un desiderio deliberato di offendere o umiliare.
L’intenzionalità, tuttavia, da sola non basta a definire il bullismo: anche un singolo gesto può essere volontario senza rientrare in questa categoria. Per questo è necessario considerare la persistenza.

La persistenza è la seconda dimensione fondamentale. Il bullismo si riconosce nella ripetitività dei comportamenti aggressivi: la vittima viene presa di mira più volte, in modo continuo, da uno o più individui che ricercano sistematicamente il confronto per dominarla o sottometterla.
Un episodio isolato, per quanto grave, non può essere definito bullismo; tuttavia, è importante sottolineare che anche singole manifestazioni di violenza o esclusione meritano attenzione, perché possono rappresentare il segnale precoce di un disagio relazionale o il preludio di dinamiche più serie.
In un’ottica educativa e psicologica, è essenziale agire in chiave preventiva: solo intervenendo tempestivamente su tensioni e squilibri nel gruppo classe si può evitare che queste degenerino in situazioni di bullismo vero e proprio.

Infine, la terza caratteristica distintiva è l’asimmetria di potere.
Il bullo sceglie di solito le proprie vittime tra coloro che percepisce come più deboli o indifesi: chi non sa o non può reagire. Questa superiorità può essere fisica, sociale, psicologica o anche solo simbolica, ma genera comunque uno squilibrio profondo nella relazione.
La forza del bullo – che può essere esercitata attraverso la violenza diretta o la manipolazione sottile – risulta amplificata dal sostegno implicito o esplicito del gruppo, mentre la vittima rimane sola e priva di strumenti per difendersi.

Solo quando intenzionalità, persistenza e asimmetria di potere si intrecciano, possiamo parlare davvero di bullismo.
Riconoscere questi tre elementi non serve solo a definire il fenomeno, ma anche a costruire una consapevolezza collettiva: comprendere il bullismo significa imparare a vederlo, nominarlo e contrastarlo prima che lasci ferite difficili da rimarginare.

Un bambino con un disturbo della produzione scritta, con una difficoltà ad organizzare il discorso, in comorbilità con u...
30/10/2025

Un bambino con un disturbo della produzione scritta, con una difficoltà ad organizzare il discorso, in comorbilità con un disturbo secondario dell’apprendimento, deve avere la sua occasione di riscatto.
Anche a scuola…
Vale la pena correre il rischio di fronte alla preparazione e alle competenze di chi può fare la differenza!

I logaritrmi possono aspettare!L’educazione si insegna anche a scuola, non solo in famiglia!
30/10/2025

I logaritrmi possono aspettare!
L’educazione si insegna anche a scuola, non solo in famiglia!

Sono una professoressa, una docente che non ha avuto paura di guardare, che ha chiuso il registro per intervenire.
Una scena che potrebbe appartenere a qualsiasi scuola… o a quella che ancora esiste nei sogni dei ragazzi che cercano giustizia.
Era lunedì. Seconda ora. Matematica.
Stavo spiegando logaritmi, ma qualcosa non tornava. Lo sentivo nell’aria, in quella tensione sottile che si insinua tra i banchi come un serpente.
Giulia — la ragazza del fondo — aveva lo sguardo basso, spento. Sembrava scomparsa dentro il suo maglione. Ogni tanto trasaliva a qualche risata strozzata, a qualche colpo di tosse che non era proprio un colpo di tosse.

Allora ho fatto quello che ogni tanto bisognerebbe avere il coraggio di fare:
ho chiuso il libro.

“Ragazzi, oggi si cambia. I logaritmi possono aspettare.”

Tutti si sono voltati. Non capivano. Alcuni sorridevano, pensando fosse una pausa fortunata.
Ma io non sorridevo.
Sono andata dritta verso la terza fila. Due ragazzi si passavano un foglio.
Il solito foglietto “innocente”.

L’ho preso.
L’ho letto.

C’era disegnata Giulia.
Con una caricatura oscena.
Con insulti, scherni, battute volgari. Una cosa vigliacca.
Codarda.
Una cosa che non si fa.

Ho alzato il foglio e l’ho mostrato a tutti.

“Guardatelo bene. E ora ditemi: ridereste ancora se ci fosse vostra sorella qui sopra? Se questa fosse vostra madre, vostra figlia?”

Silenzio.
Il silenzio che fa rumore.

Mi sono girata verso i due colpevoli. Li ho guardati dritti negli occhi.
E ho detto:
“Pensavate che nessun adulto se ne sarebbe accorto.
Ma io vi ho visto.
Eccomi.
Mi avete trovata.”

Poi mi sono voltata verso Giulia.
E le ho detto piano, ma con forza:
“Tu non sei sola. Non lo sarai finché ci sarò io.”

In quel momento ho capito perché insegno.

Non per i voti.

Non per i programmi.

O almeno, non solamente per tutto questo.

Insegno per esserci quando qualcuno ha bisogno che un adulto si alzi in piedi e dica: basta.

Da quel giorno, Giulia ha ricominciato ad alzare la testa.
Ha ricominciato a crederci.

E io, ogni tanto, continuo a chiudere il libro.
Perché la scuola è anche questo.
L’educazione si insegna “anche” a scuola, non solo in famiglia.

25/10/2025
25/10/2025

In un tempo in cui le scuole sono chiamate non solo a trasmettere contenuti, ma soprattutto a costruire comunità, il conflitto emerge come elemento inevitabile e, se ben gestito, prezioso. All’evento “Vivere bene i conflitti per stare in salute” l’insegnante è al centro: non solo come medi...

19/10/2025

“È il momento della pausa!”
“Yeeeee!”
“Attacca un pacchetto e poi si torna a lavorare!”
“Certo, maestra!”
Quanto gli piace!

06/10/2025

📅 Come ogni anno, torna la Settimana della Dislessia, un appuntamento dedicato a studenti, insegnanti e famiglie che ogni giorno affrontano le sfide dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA).

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05/10/2025

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L’ADHD, o disturbo del deficit di attenzione e iperattività, è un disordine del neurosviluppo che tende a manifestarsi durante l’infanzia. Tuttavia in passato è stato spesso liquidato come un aspetto caratteriale: oggi abbiamo le prove che si tratta di una condizione neurologica oggettivamente rilevabile ⬇

30/09/2025
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20/09/2025

Il Responsabile Safeguarding per ASD e SSD è una figura esterna all'organizzazione, nominata per garantire un ambiente sportivo sicuro e inclusivo, prevenendo e gestendo segnalazioni di abusi, violenze e discriminazioni. Questa figura deve avere competenze in ambito educativo, psicologico e legale, essere indipendente e imparziale, e possedere un certificato penale privo di precedenti.
È una figura chiave introdotta dalla Riforma dello Sport (art. 33, comma 6, D. Lgs. n. 36/2021).

INCLUSIONE e PREVENZIONE da atti di BULLISMO mi accompagnano costantemente in ogni contesto scolastico e non, che ha a che fare con i minori.

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Teramo

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