24/02/2015
GRODDECK
NEL CORPO I SIMBOLI DELL'ANIMA
GIOVANNI IANNUZZO
Genio sregolato, uomo di scienza e, a suo modo, filosofo: ecco un sintetico ritratto di George Walther Groddeck, uno dei personaggi più originali, inquietanti e autentici della storia della medicina moderna e della psichiatria dinamica. In realtà, dire che Groddeck sia stato uno psichiatra è limitativo, e probabilmente alle sue stesse orecchie suonerebbe come una svalutazione. Egli fu, infatti, medico nel senso più genuino del termine. Fu conscio dei limiti razionali della medicina, fu un guaritore e, nel contempo, un sottile teorico. Ma fu soprattutto un medico, sensibile ai problemi posti dalla malattia e dalla sofferenza. Che abbia "inventato" un suo metodo di cura fondato sulle scoperte della psicoanalisi, che abbia adottato tecniche terapeutiche psicologiche, che abbia infine fondato una vera psicoterapia del corpo, sono fatti che appaiono del tutto incidentali nella sua vicenda biografica. Una vicenda che non può non incuriosire per le sue caratteristiche di spregiudicata originalità e di assoluto anticonformismo. Non stupisce il fatto che nella storia della medicina e della psichiatria il suo nome sia stato quasi del tutto dimenticato. Groddeck fu, infatti, un personaggio scomodo, che non si ricorda né facilmente né piacevolmente. Eppure, oggi, in un momento storico che vede l'affermazione della “psicosomatica” come disciplina autonoma e indipendente, con propri modelli e propri metodi terapeutici, ricordarne l'opera equivale a tracciare un profilo biografico di uno dei suoi indiscutibili pionieri.
George Walther Groddeck era in qualche modo “figlio d'arte”; suo padre era medico, ed educò il figlio (quarto e ultimo, nato nel 1866) secondo i parametri educativi prussiani, inviandolo, per ricevere l'educazione reputata necessaria, nel collegio di Pfurt, in Sassonia, noto sia per la qualità che per il rigore dell'insegnamento. Groddeck non ne apprezzò probabilmente quest'ultima caratteristica, rivelando ben presto quel carattere insofferente, sempre teso ad una originalità spesso spregiudicata che lo avrebbe caratterizzato per tutta la vita. Un dissesto economico gravissimo costrinse la famiglia a trasferirsi a Berlino, e il giovane George la raggiunse, dopo avere finito gli studi in collegio, iscrivendosi poi a medicina nel 1885, poco dopo la morte del padre. Laureatosi (nel frattempo era morta la madre) divenne ufficiale medico e per otto anni servì professione e patria contemporaneamente. Già allora, comunque, era assai poco ortodosso nelle sue scelte professionali. Era un fervente ammiratore di Ernst Schweninger, medico personale del Cancelliere di ferro, Otto Bismark.
Schweninger era convinto che la terapia ideale dovesse essere naturale, basata su diete e massaggi, seguendo una tradizione comune all'antica tradizione medica occidentale e a quella orientale. Groddeck ne era tanto convinto sostenitore che, lasciato l'esercito nel 1897 (con un senso di profonda insoddisfazione) si trasferì a Baden-Baden per andare a dirigere una clinica nella quale Schweninger, che ne era proprietario, applicava i suoi eterodossi metodi di cura. Durò tre anni questa collaborazione con suo grande ispiratore, poi piantò tutto e si diede alla libera professione. Successivamente fondò una clinica a sua volta, nella quale applicava i metodi di Schweninger. Niente di originale, dunque, se si esclude forse un senso di innovazione che sembrò sempre essere il suo nume ispiratore. Mostrava però già una caratteristica che si sarebbe riflettuta anche nella sua successiva attività, e cioè una viva propensione verso la letteratura e la poesia. Non è un caso che le sue prime pubblicazioni non avevano nulla a che vedere con la scienza, in nessun senso: romanzi, raccolte di versi, persino un saggio critico sul teatro di Ibsen. In questa sua vocazione, però, Groddeck mostrava già un tratto caratteristico del suo pensiero che rimase sempre distante anni luce dalla filosofia scientifica allora imperante. Era infatti un romantico (e tale rimase sempre) confusamente convinto della sostanziale importanza del mondo irrazionale che domina l'essere umano e che ne condiziona le scelte, anti-positivista per definizione, tendenzialmente mistico. Già in questo differiva da quello che sarebbe divento per lui un venerato e venerabile maestro di pensiero, Sigmund Freud, la cui opera cominciava allora ad imporsi sulla scena medica e psicologica internazionale.
Di Freud condivise la preparazione letteraria, la predisposizione alla filosofia, ma nient'altro. Tanto positivista fu Freud (“biologo dell'inconscio”, come è stato definito), tanto irrazionale e fuori da ogni schema di riferimento scientifico fu Groddeck. In ogni caso nessuno dei pionieri della psicologia dinamica ebbe in comune con lui la sua sfrontatezza nell'affrontare problematiche palesemente eretiche; Groddeck aveva le sue idee, di una originalità talvolta stramba e provocatoria. Le sue concezioni dottrinarie di quel primo periodo di attività clinica sono tutte riassunte nella sua prima opera scientifica, per quanto questo aggettivo sia difficilmente applicabile a tutta la sua opera, nel senso stretto del termine. Si tratta di un volume dedicato alle idee e al lavoro di Schweninger, dal titolo di Nasamecu, dalle lettere iniziali delle parole latine Natura Sanat, Medicus Curat, un titolo dallo stile tutto “groddeckiano”. Nel libro espose candidamente quella che si potrebbe definire la sua teoria dell'ignoranza medica. Il medico, per Groddeck, sa poco e quello che sa è talmente incompleto da non essere assolutamente utilizzabile per un progetto terapeutico. Egli deve quindi evitare di lasciarsi prendere da un inutile "furore terapeutico", ma deve agire con la sua sola presenza. Essa può suscitare nel malato le forze risanatrici della natura, insiste in ogni organismo, e che si attivano quando adeguatamente assecondate. E' la natura, insomma, che può guarire, e il medico ne deve essere silenzioso tramite.
E' chiaro che queste teorie, per quanto estremamente affini all'antica tradizione medica sia occidentale che orientale, erano già di per sé agli antipodi della medicina moderna. Si viveva in un periodo di straordinari progressi nella diagnosi di una infinità di malattie. Pasteur aveva già aperto la strada allo studio dell'infinitamente piccolo come causa di malattia, e Virchow aveva stabilito principi assiomatici inderogabili che costituivano ormai uno dei paradigmi che avrebbero dominato la medicina per anni: la stretta correlazione tra causa ed effetto nella patologia, la causazione meccanica e la concezione materialistica del nesso tra salute, malattia e guarigione. Il medico, per questa filosofia, era necessariamente momento attivo, e non passivo, come suggeriva Groddeck: la sua funzione era perfettamente adeguata alla filosofia positivista imperante. Groddeck, già allora, si era volto in una direzione diametralmente opposta.
GRODDECK, FREUD E LA PSICOANALISI
La svolta decisiva nella carriera scientifica di Groddeck avvenne comunque dopo il 1909. Secondo quanto lui stesso ha raccontato in un libro che è giustamente considerato il suo capolavoro (Il libro dell'Es), stava attraversando un periodo di profonda crisi. Costantemente inquieto, sempre alla ricerca di qualcosa che lo gratificasse autenticamente, si era reso conto di essere profondamente insoddisfatto dalla sua professione. “Mi sentivo invecchiare, - scrive - uomini e donne non suscitavano più alcun interesse in me, ero stanco e disgustato delle cose che prima amavo, e, soprattutto, mi ero stufato della mia professione di medico, e la praticavo solo per guadagnare soldi”.
Fu in quel periodo che, attratta dalla sua fama di medico - guaritore, venne da lui una donna gravemente ammalata, che aveva già subito due interventi chirurgici. Non sappiamo che malattia avesse, ma Groddeck tiene a sottolineare che non si trattava di disturbi psichici, bensì di problemi organici. Rimase paziente di Groddeck per 14 anni, e il loro fu un rapporto stranissimo, quasi magico. Groddeck, che sino ad allora si era avvalso moltissimo della suggestione, tentando, come dice egli stesso, di cambiare l'atteggiamento e influenzare la personalità del malato per piegarlo ai suoi voleri terapeutici, si rese conto che tra lui e la paziente si era stavolta creato un rapporto totalmente diverso: erano gli atteggiamenti di lei ad influenzare lui, che tentava quindi inconsciamente di modificarsi per poterle recare inconsciamente sollievo, fisico e psicologico. Scoprì anche che la paziente descriveva il suo mondo, il suo corpo, i suoi disturbi mediante simboli, allusioni metafore, che coprivano un significato profondo, sfidandolo quasi a interpretarlo. Spesso in questo tentativo di interpretazione, cozzava contro un atteggiamento ostile, coartato della donna, che si opponeva a che venisse spiegato il senso dei simboli che impiegava.
Quando riusciva a superare queste barriere psicologiche, i sintomi organici miglioravano. Intuitivamente, Groddeck aveva scoperto il transfert, le resistenze e i meccanismi di simbolizzazione. Nello stesso tempo, proprio nel fare questo, aveva scoperto la psicosomatica. La mente, con le sue multiformi espressioni, poteva influenzare il corpo, determinarne la malattia, decretarne la guarigione. In fondo qualcosa che aveva sempre brillantemente intuito.
Groddeck aveva insomma fondato, indipendentemente da ogni altro, una sua “psicoanalisi del corpo”, parallelamente alla “psicoanalisi della mente” creata da Sigmund Freud. Nella sua clinica privata a Baden-Baden integrando queste nuove idee con quelle ereditate da Schweninger conduceva la sua attività terapeutica. Una attività nondimeno strana: utilizzava diete e massaggi, ma anche la sua psicoanalisi, la sua interpretazione dei simboli inconsci del paziente che si esprimevano attraverso il corpo. Di questa pratica faceva anche parte l'infliggere dolore (psichico) al paziente: dalla reazione di difesa contro il dolore, sorgeva, nei pazienti, la volontà di guarire. Era un modo per suscitare, insomma, quelle forze risanatrici dell'organismo che sonnecchiavano in ogni malato. Nello stesso tempo il dolore provocato con le sue indagini simboliche poteva anche dargli suggerimenti per la cura da effettuare.
Alla base della sua teoria stava la convinzione, tutta empirica, che l'inconscio avesse delle solide basi nell'organico:
“…mi sono imbattuto per caso nell'idea - scrive - che, oltre all'inconscio del pensiero cerebrale, vi è analogamente un inconscio di altri organi, di cellule, tessuti e via dicendo, e che grazie all'intima connessione fra queste singole unità inconsce e l'organismo si può esercitare un influsso salutare sulle singole unità attraverso l'analisi dell'inconscio cerebrale”. Insomma, una “mente centrale” coordinava l'attività di tante menti calate nella materia, per cui poteva esistere una mente del cuore, una mente dello stomaco, una mente del rene, ognuna con un suo proprio psichismo strettamente interconnesso a quello centrale. Ogni malattia dell'organo esprimeva un disagio psichico che, simbolizzato, non poteva più essere tradotto in termini coscienti.
Come se, insomma, si creasse un “corto circuito” tra cervello e organo che fosse riparabile solo interpretando il messaggio simbolico che l'organo malato esprimeva con la malattia e reintegrandolo nella vita emotiva del paziente.
Il libro dell’Es, l’opera più universalmente nota di G. W. Groddeck, nell’edizione italiana
Il suo approccio psichico alle malattie organiche non gli impedirono di essere caustico verso la psicoanalisi, alla quale rivolse alcune vibrate critiche nel suo Nasamecu. Successivamente, la lettura di Psicopatologia della vita quotidiana e dell' Interpretazione dei sogni di Freud lo convertirono alla psicoanalisi. "Questi libri - scrive - ebbero su di me un effetto così sconvolgente che, pur consapevole di privarmi di uno straordinario arricchimento delle mie conoscenze e della mia vita, non lessi fino in fondo né l'uno, né l'altro". Poi, decisosi alla lettura, non gli restò altro da fare che scrivere personalmente a Freud.
Questo avvenne nel 1917, e inaugurò un rapporto di lavoro e d'amicizia che ha carattere di assoluta unicità nella stessa vicenda biografica di Freud. Senza che Groddeck avesse effettuato alcun training (lui stesso si definiva un “selvaggio”), Freud non ebbe problemi a considerarlo uno dei suoi seguaci e per giunta tra i più fedeli e ortodossi. Il fondatore della psicoanalisi lo considerava sicuramente uno studioso geniale, ed era affascinato dalla profondità del suo pensiero, dall'altezza delle sue intuizioni, e questo sin dall'inizio. Nella prima lettera del oro ricco carteggio, Groddeck chiese a Freud come potesse considerare la sua anomala posizione nell'ambito del movimento psicoanalitico.
“Le faccio un grosso favore - rispose Freud - se la respingo da me, là dove sono gli Adler, gli Jung e altri. Ma non posso farlo, io devo avanzare le mie pretese su di Lei, devo affermare che Lei è uno splendido analista, il quale ha afferrato irrevocabilmente la sostanza della questione”.
In qualche modo Freud aveva delegato a Groddeck quello che lui stesso aveva sconsigliato al movimento psicoanalitico, e cioè il trattamento delle malattie organiche, troppo difficile e incerto. Groddeck del tutto spontaneamente, aveva intrapreso questa strada irta di difficoltà.
Groddeck, da parte sua, venerava in Freud un inconsapevole maestro, il fondatore di una teoria dell'inconscio e di un trattamento ormai al centro della sua attività clinica.
L'ES E IL CORPO
La teoria di Groddeck era comunque piuttosto diversa da quella di Freud. Per Groddeck alla base della vita e di tutte le sue manifestazioni c'è un'entità misteriosa, che egli chiama Es. L'Es è impersonale, amorale, afinalistico in senso meccanicistico. Addirittura i suoi confini non sono quelli del corpo, anche se la sua influenza si estende ampiamente ai processi organici. L'uomo è "vissuto" da questa forza cieca, impersonale e assurda, che si manifesta come una infinita fonte energetica, nella quale si ritrovano pulsioni aggressive e sessuali, soprattutto, in un equilibrio tale ad ogni pulsione corrisponde anche il suo contrario. L'Es governa sia la vita psichica che quella organica.
“L'Es, - scrive - che è un misterioso rapporto con la sessualità, con l'Eros, o comunque si voglia chiamare, plasma il naso e la mano dell'uomo così come ne plasma i pensieri e i sentimenti, e si esprime sotto forma di polmonite o di cancro non meno di quanto possa esprimersi in forma di nevrosi ossessiva o di isteria; e così come l'attività dell'Es che si presenta sotto forma d'isteria o di nevrosi è oggetto del trattamento psicoanalitico, lo è anche quella che si manifesta sotto forma di vizio cardiaco o di cancro”. La vita psichica e quella fisica per Groddeck sono solo modi in cui l'Es si può manifestare.
Non si pose mai il problema di verificare le basi scientifiche della sua teoria, bensì sostenne che questo non aveva alcuna importanza. La funzione della medicina, eminentemente arte pratica, doveva essere solo quella di constatare clinicamente gli effetti di una comprensione dei messaggi dell'Es sulla malattia. Doveva, cioè, stimolare l'Es ad agire. "Perché il vero e proprio verdetto di guarigione o di malattia non lo diamo noi medici: esso è affidato unicamente alle mani dell'Es, dell'inconscio".
Freud rimase affascinato da questa teoria, tanto da prendere a prestito il termine Es da Groddeck, riconoscendo la paternità della definizione al bizzarro medico tedesco. Ma rimase pur sempre prudente e un po' perplesso nei confronti di certe estrapolazioni troppo ardite.
Fece in modo, però, che le nuove idee sulla “psicoanalisi del corpo”" cominciassero a circolare nell'ambiente psicoanalitico. E in questo diede prova di coraggio e di anticonformismo, come quando decise di pubblicare Lo scrutatore d'anime, un volume del suo esuberante amico. Si tratta di un “romanzo psicoanalitico” il cui protagonista August Muller, si trova nella condizione, per una serie di incredibili circostanze (da una invasione di cimici alla scarlattina) di scoprire empiricamente l'esistenza dell'Es e di divenirne in qualche modo l'irrazionale, provocatoria incarnazione, trasformandosi nello scatenato Thomas Weltlein, in costante ricerca del godimento assoluto e della liberazione totale. Inutile aggiungere che questa ricerca è quella che muove l'Es, che vive in ogni uomo che “vive” l'uomo. Il romanzo, dal quale naturalmente non mancano piccanti osservazioni sulla sessualità (la copertina ideata dallo stesso Groddeck rappresentava la silhouette di un uomo che, seduto sul mondo, scruta con la lente d'ingrandimento il p**e di una donna che tiene sul palmo della mano), fu pubblicato dalla International Psychanalitische Verlag, la casa editrice del movimento psicoanalitico. Il che scatenò un vero putiferio: il libro fu considerato osceno, persino pornografico, di cattivo gusto e tutt'altro che scientifico. D'altronde, una certa fama Groddeck se la portò sempre dietro. Anche Il libro dell'Es, la vera summa del suo pensiero, redatto in forma di epistolario tra un analista di nome Patrick Troll e una donna alla quale questi espone la sua teoria e narra diversi episodi biografici, stimolò la pruderie dell'epoca e in Inghilterra uscì in edizione sigillata…
Contrariamente a Freud, che parlava di sesso ma in termini talmente razionali da raggelare chiunque immaginasse chissà quali oscenità, Groddeck evitò sempre qualunque trattazione scientifica. Le sue opere sono povere di dati obiettivi, ma ricche di poesia. Espresse la sua creatività anche nell'attività clinica: per i pazienti della sua clinica non solo teneva delle conferenze di psicoanalisi, ma addirittura, dal 1925, pubblicò anche una rivista, Die Arche (L'arca), nella quale pubblicò un gran numero di articoli su questo stesso argomento. La sua attività vulcanica fu forse anche all'origine dell'attacco cardiaco che nel 1930 pose delle serie ipoteche sulla sua salute.
Non gli impedì però di continuare a lavorare alacremente, né di farsi “vivere” dal suo Es in maniera completa. Nel 1934 ebbe un secondo attacco. In quel periodo Hi**er aveva già messo in atto la sua politica antisemita; Groddeck, che non era d'accordo, non ebbe migliore idea che quella di scrivere semplicemente a Hi**er esprimendo la sua vibrata protesta. Hi**er naturalmente ne ordinò l'arresto. Dovette rifugiarsi in Svizzera a 15 giorni di distanza dal suo secondo attacco di cuore. Ebbe il tempo di tenere a Zurigo, presso la Società Psicoanalitica, una conferenza. Poi fu ricoverato nella clinica di Kronau, dove si spense il 10 giugno 1934 a sessantasette anni.
Con la sua opera, Groddeck aveva inventato la psicosomatica clinica. Oggi che questo campo è in espansione, non si può che restare stupiti di certe sue intuizioni. Esse vanno senz'altro "rilette" in chiave scientifica, tradotte forse, ma restano pur sempre delle autentiche rivelazioni. Soprattutto, comunque, la sua grandezza va ritrovata nella sua concezione "olistica" della salute e della malattia, nella sua visione del rapporto inscindibile tra la mente e il corpo. Per Groddeck l'uomo è una monade, nella quale fisico e psichico sono due aspetti di una stessa, misteriosa realtà. Fu un “saggio paradossale”, come lo ha definito Keyserling (che tra l'altro fu guarito da lui da una flebite) e nel contempo un romantico, erede di von Hartmann e di Novalis, con la sua concezione quasi nietzschiana di una forza inconscia che non ha limiti alla propria possibilità espressiva. Nel contempo, la sua opera, così carica di intuizioni e ingiustamente dimenticata, fornisce una filosofia pratica che una medicina autenticamente terapeutica e rende forse più facile la comprensione di quel misterioso salto dalla mente al corpo che tuttora continua ad affascinare la ricerca scientifica.
© Giovanni Iannuzzo, marzo 2007