02/04/2021
Oggi è la giornata mondiale dedicata all’autismo.
Vorrei condividere con voi un’emozione che mi riporta al mio dottorato, quando incontrai una bambina, Sophie, una bimba di nove anni autistica high-functioning (ad altissimo funzionamento cognitivo):
Sophie parlava quattro lingue ed era uno stupefacente calcolatore di calendari. Se le veniva chiesto: «Che giorno era il 3 settembre 1742?», lei ribatteva in pochi secondi: «Monday», ed era esatto. Poteva fare calcoli astratti e complessi però non era in grado di sommare tre palline rosse a due palline gialle.
Una notte, Sophie ebbe una crisi autolesionistica acuta. Si trovava in una stanza imbottita e insonorizzata. Erano le due del mattino. La caposala mi disse di entrare e gestire la situazione fino all’arrivo del primario, il giorno successivo. Ero del tutto impreparata: non avevo idea di quale fosse la procedura da seguire, non mi era mai capitato nulla di simile. Nonostante fossi spaventata e agitata, aprii la porta della stanza. Sophie rimbalzava da una parte all’altra: volevo che si fermasse.
Mentre ero in quella stanza con Sophie e il suo dolore manifesto, pensai proprio a quello che stavo studiando sui neuroni specchio e al fatto che non sono unidirezionali nelle loro funzioni: se Sophie avesse compreso la mia intenzione, avrei potuto indurla a imitarmi. Cominciai così prima a saltare da una parete all’altra, poi mi sedetti al centro della stanza, dondolando, come le avevo visto fare in altri momenti di crisi, e cantilenando numeri sulla melodia della
prima filastrocca che mi sovvenne, Fra’ Martino campanaro.
Tra le lingue che Sophie conosceva c’era anche l’italiano. Riconobbe le parole-numero, si tranquillizzò, si avvicinò e si sedette dietro di me. Spalla a spalla, cantammo numeri insieme fino al mattino, quando
il primario arrivò e intervenne clinicamente.
Perché lo racconto?
Ho voluto raccontare di lei perché le devo una grande consapevolezza: non c’è contraddizione tra il lavorare su un disturbo specifico e lavorare sull’intero sistema, perché ciascuno di noi è un organismo vivente di formidabile complessità – un sistema, appunto – e l’informazione sistemica porta a connessione.
A quale connessione? All’io-io, la connessione di tutte le connessioni, che è però resa possibile dal fatto che ciascuno di quegli «io» sia armonico prima di tutto a se stesso, e si percepisca come un’unità dotata di senso. A Sophie non abbiamo insegnato a contare le palline, ma abbiamo provato a insegnarle a integrare le informazioni in un tutto dotato di significato; un’attività estremamente complessa, soprattutto
perché questo «tutto» non era un puzzle, ma era il suo stesso sé.
Riassunto del riassunto
Questo – aprire alla possibilità di una connessione – è per me il nostro scopo principale come insegnanti e educatori. È il nostro cuore oltre l’ostacolo