11/11/2025
L’arresto e il crollo della procuratrice militare israeliana: tra trasparenza, potere e crisi dello Stato
Di Giacomo Cioni
A pochi giorni dall’ammissione di aver fatto trapelare il video delle violenze subite da un detenuto palestinese nella base militare di Sde Teiman, l’ex procuratrice militare israeliana Yifat Tomer-Yerushalmi è stata trovata in stato di semi-coscienza e portata d’urgenza all’ospedale Ichilov di Tel Aviv. Non è in pericolo di vita, ma le autorità sanitarie e la polizia temono un tentativo di suicidio mediante assunzione massiccia di farmaci.
Un nuovo capitolo che rende ancora più drammatico l’intero caso: già nei giorni scorsi la procuratrice era scomparsa per ore sulla spiaggia di Hatzuk, facendo temere il peggio; era stata ritrovata ma il suo smartphone risultava scomparso. Il telefono è stato recuperato in mare venerdì scorso da una donna di 50 anni. La polizia sta verificando se sia stato manomesso o se vi siano state cancellazioni volontarie. Secondo fonti investigative, il device era acceso al momento del ritrovamento, e Tomer-Yerushalmi, ora sotto sorveglianza in ospedale, “ha fornito il codice di accesso”. Il tribunale militare ha nel frattempo disposto 10 giorni di arresti domiciliari, con divieto di contattare persone coinvolte nel caso per 55 giorni. La polizia ha chiesto ulteriori restrizioni, inclusa la confisca del passaporto e la sorveglianza 24 ore su 24 durante il ricovero.
La fuga di notizie e il video che ha scosso Israele
La vicenda nasce nell’agosto 2024, quando Tomer-Yerushalmi consegna al giornalista di Channel 12 Guy Peleg il video – ripreso all’interno della base nel Negev – in cui un gruppo di riservisti dell’IDF si accanisce su un prigioniero palestinese immobilizzato e in condizioni critiche. I referti hanno poi confermato lesioni interne gravi, compatibili con un pestaggio sistematico.
Nelle sue dimissioni, la procuratrice ha spiegato di aver autorizzato la diffusione del video come un “atto di difesa della verità” e un “contrattacco alla disinformazione” contro la campagna di intimidazioni e delegittimazione portata avanti dalla destra israeliana contro la magistratura militare. Una destra che non voleva l’inchiesta e che l’ha accusata di tradimento per aver “infangato l’esercito”.
Il paradosso è che, ad oggi, a essere stata arrestata con accuse di abuso d’ufficio, frode, ostruzione alla giustizia e diffusione di materiale riservato è proprio chi ha permesso alla tortura di diventare di dominio pubblico. Sei soldati sono formalmente indagati, ma l’attenzione politica e mediatica si è concentrata quasi esclusivamente sulla procuratrice.
Una campagna d’odio e l’assedio sotto casa
Negli ultimi giorni l’atmosfera è diventata ancora più pesante: decine di manifestanti si sono radunati sotto la sua abitazione chiedendo che fosse riportata immediatamente in carcere. Commentatori vicini al governo hanno definito la magistratura militare “infiltrata” e “nemica interna”. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha parlato del video come di un “danno gravissimo all’immagine dello Stato”, concentrandosi più sull’impatto reputazionale che sul contenuto del filmato. Il presidente Isaac Herzog, al contrario, ha invitato alla moderazione e alla responsabilità, sottolineando che l’onda di accuse e insulti “mette in pericolo figure istituzionali e giudiziarie già esposte”.
Il caso sta diventando una linea di frattura politica. Per alcuni settori della destra, Tomer-Yerushalmi rappresenta l’archetipo del “traditore interno”; per altri, è la testimonianza del prezzo che si paga quando si tenta di far emergere violenze e abusi che altrimenti resterebbero nascosti.
Sde Teiman: un luogo sotto accusa
Il carcere militare di Sde Teiman non è nuovo a denunce di maltrattamenti. Da mesi ONG israeliane e internazionali ne segnalano le condizioni degradanti: pestaggi, detenzioni arbitrarie, mancanza di supervisione esterna, abusi documentati da medici e operatori. L’intervista del dottor Yoel Donchin, medico dell’ospedale Soroka che visitò il detenuto palestinese seviziato (link Repubblica), conferma l’entità delle violenze e l’assenza di procedure adeguate. Il medico parla di un paziente “in condizioni compatibili con tortura ripetuta”, descrivendo una situazione allarmante e strutturale.
Il fatto che l’unica figura finita immediatamente sotto inchiesta sia chi ha fatto emergere il video, e non chi vi è ripreso mentre aggredisce il detenuto, non può che alimentare dubbi sulla volontà reale delle autorità di affrontare il problema.
La dimensione umana: un crollo personale che diventa simbolo istituzionale
Il crollo fisico e psicologico di Tomer-Yerushalmi, culminato nel sospetto tentativo di suicidio, aggiunge una dimensione drammatica. Non è soltanto la storia di una procuratrice che denuncia abusi e ne paga il prezzo. È la storia di un apparato che non riesce a proteggere chi denuncia e che, anzi, sembra punirlo prima degli aggressori.
Il ritrovamento del telefono in mare, la scomparsa improvvisa, il ricovero, la pressione politica, la campagna d’odio e ora la sorveglianza continua in ospedale compongono un quadro sconcertante: quello di un’istituzione lacerata internamente, incapace di gestire trasparenza e responsabilità in tempo di guerra.
Una crisi che tocca la credibilità stessa dello Stato
La vicenda esplode mentre Israele è sotto osservazione internazionale per presunte violazioni dei diritti dei detenuti palestinesi. In questo contesto, l’arresto della procuratrice che ha denunciato un abuso, sommato al ricovero e alla possibile volontà di togliersi la vita, rischia di minare ulteriormente la credibilità interna ed esterna del Paese.
Processare chi ha permesso che la violenza venisse alla luce, prima di processare chi l’ha inflitta, è un segnale che molti osservatori interpretano come un tentativo di proteggere l’istituzione invece della verità. Per questo il caso Tomer-Yerushalmi non è solo giudiziario. È politico. È istituzionale. È simbolico. Mostra quanto sia fragile l’equilibrio tra sicurezza e diritto, tra ragion di Stato e giustizia, tra immagine dell’esercito e trasparenza. Ed è proprio nei momenti in cui un Paese è impegnato in un conflitto prolungato che la capacità di accertare la verità, senza cedere alle pressioni, diventa il banco di prova della tenuta democratica delle sue istituzioni.
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di Giacomo Cioni Il caso dell’ex procuratrice militare israeliana Yifat Tomer-Yerushalmi sta assumendo proporzioni sempre più delicate, e sempre più emblematiche della tensione fra potere, trasparenza e tenuta democratica delle istituzioni israeliane. A pochi giorni dall’ammissione di aver fat...