18/11/2025
Uno psicologo psicoterapeuta che non voglia porre a sé stesso domande politiche sulla propria funzione sociale, e interpreti la professione come una sorta di farmaco omeopatico nei confronti di un presente divenuto nel frattempo incombente e passivizzante, finisce per svolgere il medesimo effetto terapeutico di un cerottino su una lacerazione profonda.
Lo psicologo che eluda la propria funzione intellettuale in questo mondo fagocitante ne diventa facile boccone, assimilato e annullato nel suo potenziale terapeutico o trasformativo.
Se fino a pochi decenni fa il livello di conflitto uomo-civiltà consentiva ancora una residuale ricerca di riposizionamento dell’uomo attraverso una pensabile critica della società e la psicoterapia riceveva fino a ieri un ambiguo e contemporaneo mandato di cura resiliente e di mediazione in tale conflitto,
l’attuale civiltà ha definitivamente ostruito, con i suoi meccanismi di assimilazione e omologazione, ogni possibilità di dialettica trasformativa e di riposizionamento del soggetto rispetto a una realtà sociale e politica divenuta nel frattempo psicologicamente impraticabile.
Da “Umanamente Insostenibile. Il capitalismo nuoce gravemente ai sapiens”
Di Luigi D’Elia e Nora Nicolaus