30/10/2025
C’è un preciso momento nella vita, un momento che non ha un’età precisa, può arrivare a 28 come a 49, in un martedì pomeriggio qualsiasi o dopo una cena con uno che ha detto "sei troppo intensa" in cui smetti di essere Pollon.
Così, di colpo.
Smetti di scivolare tra i casini con la risata da ragazzetta furba.
Smetti di aspettare il miracolo, il lieto fine, la pillolina che sistema tutto.
Smetti di fare la simpatica.
E poco dopo, perché è una catena, mica uno schiocco di dita, smetti anche di essere Lamù.
Smetti di lottare per l’amore con lo sguardo da cerbiatta armata.
Smetti di fulminare l’uomo che ami nella speranza che migliori.
Smetti di credere che l’amore, se ci metti abbastanza elettricità, possa funzionare.
Quel giorno, quella sera, per i postumi da Tinder o per un premestruo fatale,
diventi Fujiko.
Non è un crollo.
È un’ascensione.
Non lo annunci su Instagram. Non fai un reel motivazionale. Non lo racconti nemmeno all’amica del cuore.
Lo sai. Punto.
Diventi Fujiko quando capisci che non devi spiegare niente a nessuno.
Non chi sei. Non cosa vuoi. Non perché te ne vai. Non perché sei arrivata solo per venti minuti. Non perché eri dolce e ora sei sparita.
Diventi Fujiko quando smetti di chiederti “piacerò abbastanza?” e inizi a pensare “ma io, mi piaccio abbastanza?”
Quando cominci a parlare lentamente.
A ridere piano.
A fare selezione come una portiera del Billionaire in ferie.
Fujiko non piange.
Fujiko non educa.
Fujiko non salva gli uomini emotivamente disabili.
Non si siede al tavolo della mediazione.
Non cerca l’equilibrio: lei è l’altalena.
Se vuoi salirci, devi tenerti forte.
Fujiko sa essere bellissima, spietata, affettuosa e irraggiungibile nella stessa inquadratura.
Ti fa credere che sta per restare. Poi sparisce. Ma con grazia.
Con un profumo. Una sigaretta accesa a metà. Una carta di credito mancante. Un ricordo che ti scava per cinque anni.
Non lascia traumi.
Lascia standard.
Dopo di lei, tutto è downgrade.
Diventare Fujiko è una grazia conquistata.
È lo stadio finale della maturazione sentimentale.
La laurea in autodifesa emotiva.
Il punto di non ritorno dove non ti salverà più nessuno, ma va bene così.
Perché ora sei tu quella che si salva.
E se proprio ti va, salvi anche gli altri.
Ma solo se se lo meritano.
Perché il ciclo è chiaro:
prima sei Candy, e ti innamori di chiunque ti porga un fazzoletto.
Poi sei Georgie, e ti inguai con tuo fratello.
Poi sei Pollyanna, e ti convinci che la felicità sia un dovere morale.
Che la sfiga vada ringraziata.
Che se non riesci a sorridere mentre tutto brucia, allora sei tu che sbagli.
(Pollyanna è la fase in cui ti dici “sono io il problema” e nessuno ti smentisce.)
Poi, con un moto d’orgoglio o un cocktail fatto bene, ti svegli.
E diventi Pollon, e ridi.
Ridi per non piangere.
Ridi per incasinarti con stile.
Ridi perché sei ancora viva e hai smesso di chiedere permesso.
Poi sei Lamù e speri.
Poi ti rompi i co****ni.
E diventi Fujiko.
Ed è bellissimo.
Eterno.
E soprattutto, irreversibile.