Itaca - Centro di Psicoterapia, Psichiatria e Neuropsichiatria infantile

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Itaca - Centro di Psicoterapia, Psichiatria e Neuropsichiatria infantile Informazioni di contatto, mappa e indicazioni stradali, modulo di contatto, orari di apertura, servizi, valutazioni, foto, video e annunci di Itaca - Centro di Psicoterapia, Psichiatria e Neuropsichiatria infantile, Psicoterapeuta, Via Olimpica 15, Tricase.

Itaca è un luogo di cura e ascolto, nato dalla passione di uno psichiatra e due psicoterapeuti
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Orari per contattare il Centro Medico Itaca:
lun-ven 17:00-20:30, sab 10:00-12:00.

“Come stai?”“Come va?”Quante volte al giorno, tutti i giorni, riceviamo e poniamo queste domande?E quante volte rispondi...
04/11/2025

“Come stai?”
“Come va?”
Quante volte al giorno, tutti i giorni, riceviamo e poniamo queste domande?
E quante volte rispondiamo e ci rispondono con risposte generiche come “sto bene, grazie”, “va tutto bene, grazie.”

E quante volte ci fermiamo davvero a pensare come stiamo, come va la nostra vita?
Di tutte le domande poste quella sulla quale vorrei soffermarmi è l’unica che non ho posto: “come ti senti?”. Dietro questa domanda si cela un senso più profondo che coinvolge mente e corpo.

Troppo spesso viviamo la nostra vita come se mente e corpo fossero due mondi separati - e l’approccio dicotomico che ha governato per molto tempo lo studio dei fatti umani ne è stato promotore - ma la vera scoperta di sé nasce quando iniziamo a porci le domande giuste. Come mi sento? Cosa e dove sento? Cosa sento davvero, oltre i pensieri che affollano la mente?

Le neuroscienze si sono interessate alla connessione mente corpo andando a individuare nel cervello le aree di interconnessione. Antonio Damasio, nel suo libro intitolato “L’errore di Cartesio” (1994), critica il dualismo mente – corpo proposto dal filosofo sostenendo che emozione e ragione fossero strettamente interconnesse. Fu un caso clinico a guidare la ricerca in questa direzione: il caso di Phineas Gage che a seguito di una lesione cerebrale su base traumatica presentò un brusco e radicale cambiamento della sua personalità. In particolare, le ricerche di Damasio e altri neuroscienziati hanno evidenziato il ruolo dell’insula (una regione profonda della corteccia cerebrale) nell’integrazione delle informazioni provenienti dal corpo contribuendo alla formazione dei sentimenti e alla coscienza di sé. Le ricerche di Damasio e altri neuroscienziati hanno evidenziato che l’insula è coinvolta nella rappresentazione delle sensazioni corporee, nell’elaborazione delle emozioni e nella regolazione dei processi decisionali, nella coscienza e nell’empatia, confermando la tesi che mente e corpo sono inscindibili anche a livello neurobiologico e confermando la sua importanza per la salute mentale e il comportamento umano.

Uscire dalla divisione tra mente e corpo significa ascoltare ogni parte di noi, accettare le nostre emozioni e lasciarci guidare non solo dalla ragione, ma anche dal sentire profondo. È un viaggio coraggioso ma chi ha il coraggio di intraprenderlo, trova una ricchezza nuova: la possibilità di conoscersi davvero, di essere interi.
Non avere paura di chiederti chi sei. Spesso la risposta più autentica arriva quando smettiamo di giudicarci e iniziamo ad ascoltarci.

“Conosci te stesso” non è solo un vecchio motto filosofico: è il primo passo per vivere pienamente e in armonia con tutto ciò che siamo.

✍ Dott.ssa Noemi Santoro

𝐋𝐚 𝐬𝐪𝐮𝐚𝐝𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐈𝐭𝐚𝐜𝐚 𝐬𝐢 𝐚𝐦𝐩𝐥𝐢𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐮𝐧𝐚 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐚 𝐟𝐢𝐠𝐮𝐫𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞, 𝐢𝐥 𝐃𝐨𝐭𝐭. 𝐆𝐢𝐨𝐧𝐚𝐭𝐚 𝐌𝐞𝐫𝐢𝐜𝐨.Laureato in Psicologia clinica...
28/10/2025

𝐋𝐚 𝐬𝐪𝐮𝐚𝐝𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐈𝐭𝐚𝐜𝐚 𝐬𝐢 𝐚𝐦𝐩𝐥𝐢𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐮𝐧𝐚 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐚 𝐟𝐢𝐠𝐮𝐫𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞, 𝐢𝐥 𝐃𝐨𝐭𝐭. 𝐆𝐢𝐨𝐧𝐚𝐭𝐚 𝐌𝐞𝐫𝐢𝐜𝐨.

Laureato in Psicologia clinica e promozione della salute presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove ha ricoperto il ruolo di Cultore della materia e Assistente alla docenza in Psicopatologia.

Ha contribuito come autore alla stesura del manuale universitario Psicologia dell’invecchiamento e della longevità (Il Mulino, 2024) e di un corso di formazione sul medesimo tema (Giunti, 2024). L’esperienza presso il servizio di Psicologia della Casa di cura Villa Verde di Lecce gli offre la possibilità di affinare metodi e tecniche di diagnosi e trattamento in merito all’ampio spettro dei disturbi psicologici e psichiatrici.

Attualmente frequenta la Scuola di specializzazione in Psicologia clinica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e svolge l’attività di psicologo sul territorio salentino. L’orientamento che muove la sua pratica professionale orbita attorno ai modelli psicologici più accreditati e convoglia in un approccio “sartoriale”, cucito su misura in virtù delle necessità e dei desideri del paziente, dove la mission è caratterizzata dai concetti di efficacia ed efficienza terapeutica, tentando di offrire un aiuto centrato sulla persona che consideri l’unicità e la singolarità delle storie personali.

𝐈 𝐟𝐚𝐥𝐬𝐢 𝐦𝐢𝐭𝐢 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐭𝐞𝐫𝐚𝐩𝐢𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐞̀ 𝐨𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐬𝐟𝐚𝐭𝐚𝐫𝐞. Nonostante decenni di ricerca scientifica, intorno alla psicotera...
21/10/2025

𝐈 𝐟𝐚𝐥𝐬𝐢 𝐦𝐢𝐭𝐢 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐭𝐞𝐫𝐚𝐩𝐢𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐞̀ 𝐨𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐬𝐟𝐚𝐭𝐚𝐫𝐞.

Nonostante decenni di ricerca scientifica, intorno alla psicoterapia ruotano ancora molti pregiudizi. Eppure, le evidenze sono chiare: la psicoterapia funziona, migliora la qualità della vita e può prevenire ricadute psicologiche future.

Vediamo insieme alcuni falsi miti ancora diffusi.

✍ Dott.ssa Daniela Uglia

"La salute mentale è la capacità di vivere nella realtà, di affrontare la solitudine e di giocare." (Winnicott, "Gioco e...
14/10/2025

"La salute mentale è la capacità di vivere nella realtà, di affrontare la solitudine e di giocare." (Winnicott, "Gioco e realtà", 1971)

07/10/2025

A braccia conserte. In posizione di attesa, ma a braccia conserte. Questo atteggiamento caratterizza talvolta le relazioni delle persone che incontro all’interno dello spazio terapeutico. Nell’approfondire la natura e le dinamiche che sono vissute come dolorose, spesso emerge chiaramente l’immagine di una persona bloccata nell’attesa speranzosa che l’altro/gli altri facciano “finalmente” qualcosa. Molto evidente all’interno delle terapie di coppia o nelle sedute in cui sono presenti i sottosistemi familiari (fratria, genitore-figlio), meno evidente ma ugualmente importante nella narrazione delle relazioni attuali o del passato.

Tale assetto disfunzionale è legato ad un concetto fondamentale che regola e struttura tutte le relazioni: la reciprocità. Il concetto di reciprocità, teorizzato dai padri della scuola sistemico-familiare (primo tra tutti Gregory Bateson), si riferisce al principio di equivalenza negli scambi e nelle interazioni tra le persone, fondamentale per la salute di un sistema. Questo approccio considera l'individuo non isolato, ma parte di una rete di relazioni, dove la reciprocità è essenziale per la fiducia, le connessioni emotive e lo sviluppo di relazioni più autentiche e soddisfacenti. Un corollario del concetto di reciprocità può essere però riassunto con la seguente affermazione: “ogni scambio relazionale non inizia mai con una richiesta, ma sempre con un DONO!”. Ovvero un movimento attivo verso l’altro: la ricerca di un chiarimento, la verbalizzazione di un proprio disagio, cosa provo io per te ecc…

In quest’ottica, il paziente bloccato all’interno di posizioni di attesa inizia un percorso di elaborazione dei suoi vissuti, può essere guidato nell’esplorare i motivi per i quali non riesce a muoversi da questa posizione. Posizione talvolta antica e dolorosa. Una rivoluzione della prospettiva e quindi una nuova possibilità di cambiamento, un esercizio che ciascuno può svolgere nella palestra delle proprie relazioni. E tu, in quale relazione ti trovi nella posizione di attesa, a braccia conserte?

✍ Dott. Giacomo Rescio

𝐈𝐥 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐮𝐫𝐛𝐨 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐢𝐦𝐢𝐜𝐨.La tristezza nel tempo.Ci sono persone che non vivono crisi acute, ma una malinconia costante, una...
30/09/2025

𝐈𝐥 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐮𝐫𝐛𝐨 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐢𝐦𝐢𝐜𝐨.
La tristezza nel tempo.

Ci sono persone che non vivono crisi acute, ma una malinconia costante, una tristezza che accompagna i giorni come un’ombra: è la distimia, o disturbo depressivo persistente, una condizione psicologica che dura anni, logorando lentamente.

Nel setting terapeutico chi ne soffre parla di stanchezza, difficoltà a concentrarsi, poca fiducia in sé e di un vuoto che non passa.

Alcuni si esprimono attraverso significativi incisi:
• «Non crollo mai davvero, ma è come se vivessi a metà».
• «Gli altri mi vedono tranquillo, ma io vivo in una nebbia che non si dirada».
• «Le emozioni le sento, ma sono attenuate, come filtrate da un vetro opaco».

Le cause sono molteplici: predisposizione biologica, esperienze precoci di perdita o trascuratezza, oppure piccole ferite ripetute nel tempo (delusioni, critiche, solitudine) che si sedimentano fino a costruire la sensazione di “vita spenta”.

Il primo passo in terapia è saper riconoscere questa sofferenza, banalmente scambiata per pessimismo cronico. In realtà la distimia è un disagio reale, che merita attenzione.

L’approccio fenomenologico-esistenziale diventa, in questo caso, prezioso: invita il paziente a soffermarsi sulla propria esperienza interiore, senza giudizio. Chi vive la distimia spesso non riesce a dare voce alle proprie emozioni: rabbia, tristezza, persino gioia restano silenziate. In terapia si lavora per portare alla luce questi vissuti, nominandoli e a restituendo loro uno spazio affinché la persona possa riappropriarsi del proprio mondo emotivo.

Non s’intende solo a ridurre i sintomi, ma restituire senso alla vita: esplorare come il paziente percepisce sé stesso e gli altri. Comprendere dove la sua esistenza si sia ristretta, e aprire lentamente nuove possibilità di autenticità e relazione.

Accanto a ciò, si rafforzano le risorse personali e si introducono abitudini che interrompono il circolo della sfiducia. Nei casi più complessi, può essere utile valutare con lo psichiatra un supporto farmacologico.

Uscire dalla distimia non è immediato, perché tocca radici profonde della storia personale. Un cammino costante che include l’ascolto fenomenologico delle emozioni e la ricerca di un senso nuovo, può davvero riaccendere quella luce interiore che la tristezza cronica ha tentato di spegnere.

✍ Dott. Andrea Zizzari

Il tema della morte entra prepotentemente in ogni forma di psicopatologia. Pensiamo alle forme depressive melanconiche: ...
23/09/2025

Il tema della morte entra prepotentemente in ogni forma di psicopatologia.

Pensiamo alle forme depressive melanconiche: qui la morte spesso si manifesta sotto forma di ideazione suicidaria; pensiamo alla mente maniacale che spesso si espande al punto da negare qualsiasi possibilità di caducità mortale; riflettiamo sulla temerarietà dei comportamenti tossicofilici che sfidano quotidianamente la morte; immaginiamo le severe forme anoressiche in cui il corpo si debilita a tal punto da scheletrirsi; pensiamo alle sintomatologie fobico-ipocondriache in cui la malattia, specie se mortale, viene temuta o percepita come un terribile ospite nel corpo; pensiamo alla paranoia in tutte le sue declinazioni: qui la persona vede nell’Altro una concreta minaccia di pericolo mortale.

Nell’Odissea Omero chiamava Ulisse e gli altri esseri umani βροτός (etimologicamente “i mortali”). Nell’antica Grecia dunque gli uomini sono fatti con la morte, impastati con la morte, hanno a che fare con la morte, possono morire.

Sigmud Freud, agli inizi del ‘900, elabora il concetto psicoanalitico di Thanatos, pulsione di morte, quella forza distruttiva inconscia che, in contrapposizione alla pulsione di vita (Eros), spinge inconsciamente l’uomo verso la distruzione, il non-esistere, la morte.

Nella cronaca contemporanea troviamo una surreale discussione sulla longevità di Putin e Xi Jimping: al termine di una loro riunione parlano dello sviluppo di biotecnologie per cui le persone potrebbero continuamente ringiovanirsi e raggiungere l’immortalità.

I sintomi psichiatrici sono fenomeni complessi che, emergendo da un piano biologico, affondano le loro radici tematiche nella trama relazionale e culturale che circonda la persona nel suo percorso evolutivo. La salute mentale si costruisce anche attraverso un faticoso confronto con l’angoscia del non-senso e del nostro essere creature finite. Ritengo che una sana educazione alla vita, in famiglia, a scuola, nella politica e nella società, non debba negare la morte ma considerarla come essa è: un inesorabile fenomeno del reale.

Dott. Giuseppe Rizzo ✍🏻

𝐐𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐥 𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐨 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐧𝐭𝐚 𝐓𝐔𝐓𝐓𝐎 Uno dei problemi che le persone riportano più frequentemente in psicoterapia è lo stress ...
16/09/2025

𝐐𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐥 𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐨 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐧𝐭𝐚 𝐓𝐔𝐓𝐓𝐎

Uno dei problemi che le persone riportano più frequentemente in psicoterapia è lo stress lavoro correlato. Si tratta di una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale, ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro, oppure sentono una responsabilità personale altissima rispetto alla performance o al buon mantenimento dell'attività economica nel quale sono implicati.

Molto spesso si tratta di imprenditori, e/o di collaborazioni con persone di famiglia, entrambe condizioni che aumentano la difficoltà a staccare l'ambiente lavorativo da quello della vita privata. L'ultima generazione (gen z: fino a 27 anni) ha rivoluzionato la visione del lavoro, considerandolo come un mezzo per ottenere un guadagno, riuscendo a metterlo in secondo piano rispetto ad altri temi esistenziali più importanti, come il benessere e la soddisfazione fisica e psicologica.

Le generazioni precedenti, invece, sentono una responsabilità decisamente più rilevante in questo ambito, come se gran parte dell'identità personale fosse riposta sul proprio mestiere, a discapito di altri ambiti. Questo comporta che si determini uno squilibrio dell'investimento delle risorse, che però non trova mai l'appagamento idealizzato, provocando disturbi d'ansia, depressivi, e psicosomatici. In psicoterapia si ristruttura il senso della propria identità e si aiuta la persona a riformulare le priorità in un sistema più funzionale e in armonia con la propria capacità di autoaffermazione.

Spesso è necessario prendere consapevolezza che davanti a sé si manifestano tre strade possibili: continuare come si è sempre fatto, vivendo conseguenze via via più negative, aiutarsi con psicofarmaci che compensino gli squilibri psicologici e fisici derivanti dagli squilibri della propria condizione, o attuare un cambiamento nella propria vita.

Ti trovi anche tu in questa situazione? Che strada stai percorrendo?

✍ Dott.ssa Alessia Vilei

𝐈𝐥 𝐭𝐫𝐚𝐮𝐦𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐮𝐧 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐨. 𝐄̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐜𝐜𝐢𝐚 𝐯𝐢𝐯𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐥 𝐜𝐞𝐫𝐯𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚.Quando l’infanzia è attraversata da esper...
09/09/2025

𝐈𝐥 𝐭𝐫𝐚𝐮𝐦𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐮𝐧 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐨. 𝐄̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐜𝐜𝐢𝐚 𝐯𝐢𝐯𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐥 𝐜𝐞𝐫𝐯𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚.

Quando l’infanzia è attraversata da esperienze spiacevoli, il cervello si plasma intorno a quelle ferite. L’amigdala diventa vigile come una sentinella, sempre pronta a scorgere un pericolo. L’ippocampo fatica a mettere ordine nei ricordi, confondendo passato e presente. La corteccia prefrontale, che dovrebbe calmare e dare senso, perde parte della sua forza.

Queste non sono astrazioni: la neurobiologia ci mostra come il trauma lasci segni concreti. L’amigdala, sede della paura e delle reazioni istintive, diventa iperattiva, pronta ad accendere l’allarme anche di fronte a piccoli stimoli. L’ippocampo, che ordina la memoria e distingue il “qui e ora” dal “lì e allora”, può ridursi di volume, rendendo difficile collocare i ricordi traumatici nel passato. La corteccia prefrontale, fondamentale per regolare le emozioni e pensare in modo lucido, vede diminuire la sua capacità di bilanciare le risposte dell’amigdala. Anche il corpo calloso, ponte tra emisfero destro ed emisfero sinistro, può risentirne: la comunicazione tra emozione e linguaggio si fa fragile, lasciando le esperienze traumatiche spesso mute e non narrate.

Il bambino cresce così in un mondo interiore dove l’allarme suona troppo spesso, anche quando fuori non c’è alcuna minaccia. Questo non significa essere “sbagliati”, ma portare dentro un adattamento nato per sopravvivere.
Il trauma non resta immobile: vive nei pensieri, nei battiti, nelle tensioni del corpo, nei silenzi che diventano pesanti. È una memoria che non ha ancora trovato parola, ma che chiede ascolto. Eppure, il cervello è vivo, plastico, capace di cambiare. Ogni volta che riconosciamo queste tracce, che le accogliamo senza giudizio, apriamo la possibilità di nuove connessioni. Come un terreno che, dopo una lunga siccità, torna lentamente a fiorire.

Il trauma segna, ma non definisce. Dentro di noi resta la possibilità di scrivere nuove mappe, di sentirci interi, di tornare a vivere senza che il passato detti sempre le regole del presente.

✍ Dott.ssa Selenia Greco

"La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare" canta Jovanotti in "Mi fido di te". Mi ritrovo spesso, in tera...
02/09/2025

"La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare" canta Jovanotti in "Mi fido di te". Mi ritrovo spesso, in terapia, a ricorrere a questa frase, quando di fronte a me siedono persone che presentano un'organizzazione fobica.
Valeria Ugazio ha descritto l'organizzazione fobica rintracciabile in conversazioni familiari intessute dai significati creati da polarità mutualmente escludentisi: "semantica della libertà". Le polarità principali sono libertà-dipendenza ed esplorazione-attaccamento e, sul piano emotivo, paura/coraggio.
A causa di eventi drammatici o per ragioni meno evidenti, queste famiglie percepiscono il mondo esterno come minaccioso, la stessa espressione delle emozioni è considerata fonte di pericolo. Proprio perché la realtà incute paura i familiari offriranno protezione, e allo stesso tempo promuoveranno l'idea che la libertà e l'indipendenza possano essere raggiunte soltanto al di fuori della relazione.
I soggetti fobici si sentono sull'orlo di un baratro pauroso. La sensazione di allarme di fronte a un futuro con accadimenti che si sentono inadeguati ad affrontare, li accompagna costantemente. Per questo è importante disporre di punti di riferimento: un matrimonio, un genitore, la routine di un lavoro. Anche l'edicolante o il cameriere del bar possono rappresentare un ancoraggio. Ma i punti di riferimento, sono vissuti come barriere.

Questa semantica produce polarizzazione delle identità: nello stesso nucleo familiare si osservano globetrotter e persone così stanziali da non muoversi dal quartiere. Chi manifesta estremo bisogno di protezione e chi appare autosufficiente.
Il soggetto fobico risulta bloccato da un dilemma irrisolvibile: il fallimento del tentativo di trovare equilibrio tra il bisogno di protezione da un mondo pericoloso e il bisogno di libertà e indipendenza. Attaccamento ed esplorazione vengono avvertiti come inconciliabili.

La funzione della paura non dovrebbe accompagnarsi all'evitamento ma al desiderio di procedere in equilibrio per avanzare con sicurezza. La relazione terapeutica può rappresentare quella base sicura dalla quale cominciare a muoversi imparando a fidarsi e affidarsi a sé stessi.

✍ Dott.ssa Noemi Santoro

𝐋𝐚 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐬𝐨𝐦𝐚𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐫𝐢𝐝𝐮𝐫𝐫𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞. 𝐄̀ 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐮𝐧 𝐭𝐮𝐭𝐭’𝐮𝐧𝐨: 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐢, 𝐞𝐦𝐨𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢, 𝐭𝐞𝐬𝐬𝐮𝐭𝐢, 𝐛𝐚𝐭...
26/08/2025

𝐋𝐚 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐬𝐨𝐦𝐚𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐫𝐢𝐝𝐮𝐫𝐫𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞. 𝐄̀ 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐮𝐧 𝐭𝐮𝐭𝐭’𝐮𝐧𝐨: 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐢, 𝐞𝐦𝐨𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢, 𝐭𝐞𝐬𝐬𝐮𝐭𝐢, 𝐛𝐚𝐭𝐭𝐢𝐭𝐢, 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐞.

C’è un linguaggio che il corpo conosce da sempre. Un linguaggio fatto di sintomi, di segnali silenziosi, di tensioni che spesso non sappiamo spiegare.
È il linguaggio della psicosomatica, che ci insegna che mente e corpo non sono separati.
Quando un’emozione non trova modo di essere riconosciuta, contenuta, espressa può trasformarsi in un sintomo fisico. E quel sintomo non è “contro di noi”, è con noi, araldo di una richiesta d’ascolto.
Mi capita spesso di incontrare persone che soffrono di emicranie persistenti, gastriti, dolori muscolari, stanchezze croniche. Disturbi per cui hanno cercato cause mediche, nel corpo, senza mai trovare una risposta definitiva.
Quando ci si ferma a volgere lo sguardo all’interno nello spazio protetto della stanza del terapeuta, emerge spesso qualcosa di più profondo:
un peso per cui le spalle sono stanche, un dolore rimasto bloccato, una paura trattenuta sotto la pelle per troppo tempo.
Il corpo diventa allora il primo portavoce di una parte di noi che chiede attenzione e presenza a noi stessi. E lo fa nel solo modo che conosce: manifestandosi.
La psicosomatica non è ridurre tutto alla mente. È riconoscere che siamo un tutt’uno: pensieri, emozioni, tessuti, battiti, storie.

✍ Dott.ssa Daniela Uglia

Indirizzo

Via Olimpica 15
Tricase
73039

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Martedì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Mercoledì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Giovedì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Venerdì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Sabato 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00

Telefono

+393284703283

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