19/11/2025
Un nuovo studio pubblicato su Molecular Psychiatry ha fatto luce su una scoperta relativa a un processo chiamato apprendimento difensivo adattivo, un meccanismo che ci permette di non vivere costantemente in allerta e che permette al cervello di riconoscere quando un pericolo è reale e quando è solo apparente.
Quando percepiamo una minaccia, il nostro cervello reagisce in frazioni di secondo con risposte automatiche: immobilizzarsi, fuggire o attaccare. Sono reazioni antiche e indispensabili. Ma cosa succede se il pericolo non arriva mai? Se un’ombra minacciosa compare più volte senza trasformarsi in un predatore?
Continuare a vivere in allerta sarebbe uno spreco di energie. E qui entra in gioco una piccola struttura del mesencefalo, finora poco studiata: il nucleo interpeduncolare (IPN). Lo studio mostra che questa minuscola area funziona come un vero regista della paura, modulando quando dobbiamo restare vigili e quando possiamo rilassarci ed esplorare.
I ricercatori hanno simulato un predatore proiettando un’ombra scura in espansione. All’inizio i topi reagivano nascondendosi, ma dopo giorni senza conseguenze reali hanno iniziato a uscire di più e a esplorare l’ambiente. Contemporaneamente, grazie a una tecnica chiamata fotometria a fibre, è stato possibile osservare l’attività dei neuroni dell’IPN in tempo reale.
Una popolazione di neuroni mostrava un’alta attivazione all’inizio dell’esperimento, ma la sua attività diminuiva man mano che gli animali imparavano che la minaccia era innocua. E quando questi neuroni venivano inibiti artificialmente, la paura calava quasi del tutto. Ma non è tutto: un altro gruppo di neuroni dell’IPN — quelli che esprimono somatostatina (Sst) — non si adattava e continuava ad attivarsi. Secondo gli autori, questa “iper-reattività” potrebbe essere alla base dell’ansia generalizzata, quella sensazione di pericolo costante anche in assenza di reali minacce.
Queste scoperte ci aiutano a capire meglio come il cervello distingue i pericoli veri da quelli percepiti. In altre parole, gettano luce sui meccanismi biologici che ci permettono di sviluppare resilienza, calmare la paura e regolare l’ansia e potrebbe aprire la strada a nuovi approcci per trattare disturbi d’ansia e condizioni in cui la minaccia è sempre “accesa”, anche quando non dovrebbe esserlo.