02/12/2025
Nel dibattito di questa sera a Otto e Mezzo, Marco Travaglio ha riportato al centro una tesi che ripete da anni e che tocca uno dei nodi più sensibili della politica europea. L’Europa è nata dall’idea che la cooperazione economica sia il primo argine contro la guerra. Non un principio astratto, ma la base concreta su cui si sono costruiti pace e integrazione dopo due conflitti mondiali. Per Travaglio, interrompere questo meccanismo con la Russia ha significato rompere anche una parte dell’equilibrio che aveva garantito stabilità al continente.
La sua posizione non giustifica l’invasione ma critica il modo in cui l’Unione Europea ha reagito, rinunciando alla propria autonomia diplomatica e scegliendo la via delle sanzioni e della militarizzazione del conflitto. Secondo questa lettura, spostare gli interessi economici dall’Est verso altri attori internazionali ha reso l’Europa più debole e meno libera nelle sue scelte strategiche.
La domanda che emerge è semplice ma scomoda: un’Europa che abbandona la cooperazione e torna alla logica dei blocchi può davvero garantire la pace nel lungo periodo? Travaglio vede il rischio di un’escalation più vicina al nostro territorio, di un indebolimento strutturale e della perdita della nostra identità politica. Un’analisi che divide, ma che costringe a interrogarsi sulle radici storiche dell’Unione e sul prezzo della sua attuale linea internazionale. E resta aperta la domanda più inquieta: che cosa succede quando un continente rinuncia ai legami che lo hanno tenuto al riparo dalla guerra? È questo il punto che lascia sospesi, perché nessuno può prevedere davvero quali conseguenze avrà una scelta che indebolisce le relazioni e alimenta un clima di tensione. Iolanda Gaeta
Foto Virgilio