Dott.ssa Iolanda Gaeta

Dott.ssa Iolanda Gaeta Psicologa Clinica Psicoterapeuta. Formatrice in ambito psicologico e Supervisore Educativo. Lavora come Psicoterapeuta Psicoanalitica a Chieri. Massimo Recalcati.

Docente a contratto di Psicologia presso Università degli Studi di Torino. La Dottoressa è Psicologa Clinica, Psicoterapeuta Psicoanalitica, Mediatrice Familiare e Formatrice. La pratica psicoanalitica della dottoressa è caratterizzata dal continuo e costante studio personale e dal confronto con la ricerca scientifica più aggiornata. Si dedica a pazienti affetti da Disturbi dell'umore (Disturbi Depressivi, Ansia e Attacchi di panico, Disturbo bipolare), Disturbi del comportamento alimentare (Bulimia, Anoressia Nervosa, Obesità, Binge Eating); Disturbi di Personalità e Disturbi psicosomatici. Prende in cura pazienti che necessitano di trattamento e cura a causa di Traumi psichici dovuti ad esperienze di violenza domestica, violenza sessuale, aggressione, lutto, incidenti, separazioni traumatiche e/o legati a esperienze traumatiche prolungate come abusi emotivi-fisici e maltrattamenti in età evolutiva e adulta. La sua attività professionale si esplica anche attraverso consulenze e sostegno psicologico alle donne in tutte le fasi della gravidanza e nella fase del puerperio/post-parto e attua interventi di sostegno alla futura coppia genitoriale. Si occupa di Terapia di coppia e Sostegno alla genitorialità. La sua attività professionale si completa attraverso l’erogazione di corsi di formazione rivolti al personale scolastico attraverso metodologia sia di tipo frontale/teorica che laboratoriale. Per le famiglie conduce incontri formativi/informativi su tematiche psicoeducative. Ideatrice e promotrice del progetto Psicologia Condivisa. L’iniziativa pone al centro la diffusione della conoscenza psicologica con particolare attenzione alla psicoanalisi, quale strumento essenziale per il benessere collettivo. Ne sottolinea il valore nella comprensione di sé e dell’altro, nella prevenzione delle problematiche psicologiche individuali e familiari e nel promuovere una maggiore consapevolezza relazionale. Attraverso il sostegno e l’informazione, si intende favorire la creazione di una rete di solidarietà e crescita condivisa, in cui la psicologia occupi un ruolo centrale nella promozione del benessere sociale. L’obiettivo è costruire una comunità più consapevole, in cui il sapere psicologico diventi una risorsa accessibile a tutti, contribuendo al miglioramento della qualità della vita individuale e collettiva. LA PSICOTERAPIA E METODOLOGIA DI TRATTAMENTO
L’orientamento psicologico utilizzato è psicoanalitico

FORMAZIONE ACCADEMICA

La dottoressa si è laureata con Lode in Psicologia Clinica e di Comunità presso l’Università di Torino presentando due tesi (Triennale e Magistrale) dedicate all’analisi e all’approfondimento del tema dell’aggressività e della violenza. Nella tesi triennale l'analisi si è concentrata sulle dinamiche relazionali del sistema familiare e sugli stili educativi adottati dalle figure genitoriali. È stato ipotizzato che all’interno della famiglia possano esistere numerose variabili in grado di influenzare l’insorgenza di atteggiamenti prevaricatori nei figli. In particolare, è stata approfondita la relazione tra lo stile educativo genitoriale e lo sviluppo dello stile di attaccamento. Nella tesi magistrale, invece, ha esaminato la relazione tra il costrutto dell’empatia e il fenomeno del bullismo, con l’obiettivo di indagare se e in che modo l’empatia affettiva e/o cognitiva sia correlata ai comportamenti aggressivi o bullistici nei minori. Si è specializzata in Psicoterapia ad orientamento psicoanalitico presso la Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica di Torino con un lavoro di Tesi sui Disturbi dell'umore associati al Trauma con particolare attenzione alle forme depressive e suicidarie. Ponendo al centro l'analisi del vissuto traumatico infantile sono state esplorate le possibili ricadute psicologiche nei figli sopravvissuti. Successivamente la sua formazione si è consolidata attraverso un corso annuale di Alta formazione post- universitaria presso la scuola di Specializzazione Cognitiva Comportamentale di Torino dal titolo: “Il trattamento della dissociazione traumatica. I volti e i molti sintomi della traumatizzazione. Riconoscimento clinico ed intervento” formatrice dott.ssa Dolores Mosquera nota a livello internazionale e specializzata nel trattamento dei Disturbi della Personalità, dei traumi complessi e della dissociazione. Ha frequentato e concluso un Corso di Alta Formazione e Specializzazione post Universitario presso l'I.R.P.A. (Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata) di Milano diretta dal prof. Massimo Recalcati sulla Clinica dei Nuovi Sintomi. In specifico i temi approfonditi e studiati sono stati relativi alle nuove patologie: anoressie, bulimie, obesità, attacchi di panico, depressioni, fenomeni psicosomatici, tossicomanie ed il disagio infantile. Nel corso degli anni ha arricchito la sua formazione professionale attraverso numerosi corsi e eventi formativi tra cui:

“Giornate di studio su casi clinici. Documentazione clinica. Percorsi clinico-assistenziali diagnostici riabilitativi, profili di assistenza, profili di cura” condotte dal Prof. Massimo Recalcati presso l'Istituto di Ricerca e Intervento per la Salute sede di Milano. Presso l'Accademia Pons sede di Milano giornate di studio dal titolo: "Come costruire il caso clinico” docente Prof. Presso la Facoltà di Psicologia di Torino, Scienze della Mente, ha completato un corso annuale sui “Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)” con votazione finale di 30 e Lode. Presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca ha acquisito una formazione dal titolo: “La consultazione con l’adolescente nei disturbi di personalità”. Presso la Scuola di Specializzazione COIRAG, sede di Roma, ha partecipato alla formazione condotta dal Prof. Antonello Correale sul tema: “Quale psicoanalisi per i pazienti difficili”. Presso la Scuola di Specializzazione in Neuropsichiatria Infantile (Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica Pediatriche) è stata acquisita una formazione dal titolo: “Il rischio suicidario in continuità tra adolescente e giovane adulto. Aggiornamento clinico e nuove strategie di prevenzione”. Presso la Società Adleriana Italiana Gruppi e Analisi (S.A.I.G.A) Scuola di Specializzazione in Psicoterapia formazione sul tema : “Psicologia del morire: il lutto e la sua elaborazione”. All'interno del Programma Nazionale per la Formazione continua degli operatori della Sanità ha arricchito la sua formazione attraverso corsi e partecipazione ad eventi alcuni dei quali:

"Il Controtransfert nella clinica Psicoanalitica: riflessioni e aggiornamenti. Percorsi clinico-assistenziali diagnostici e riabilitativi, profili di assistenza e profili di cura"

"Lo psicologo delle cure primarie: le parole dell'esperienza pratica"

“Nuove prospettive nell’elaborazione del lutto”

"I professionisti dell'area perinatale: testimoni di nuove complessità"

"Percorsi oncologici e percorsi psicologici si intrecciano negli adolescenti e giovani adulti"

"Dai BES alle EES e ai DSA: il contributo dello psicologo"

"Il sostegno psicologico nella sclerosi multipla"

"La psicologia scolastica: contribuire nella gestione dei bisogni educativi speciali tra scuola e i servizi sanitari ed educativi"

“Psicologia applicata allo sport: attività fisica e sport per l’educazione e la formazione dei giovani"

Dai Bisogni Educativi Speciali alle Esigenze Educative Speciali ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento: il contributo dello psicologo"

SITO WEB https://www.iolandagaeta.it/home
email iolandagaeta@icloud.com
cell. 339 16 22 917

L’incontro propone una riflessione sulle radici psicologiche della violenza di genere e sulle dinamiche affettive che la...
12/11/2025

L’incontro propone una riflessione sulle radici psicologiche della violenza di genere e sulle dinamiche affettive che la precedono. Attraverso una lettura psicoanalitica dei legami verranno messi in luce i segnali precoci della violenza relazionale, spesso invisibili ma profondamente distruttivi,
Per iscrizioni inviare una email psicologiacondivisa25@gmail.com

09/11/2025

Liste d’attesa: il problema non è solo quante prestazioni facciamo, ma soprattutto quante non dovremmo farne

Quando si parla di liste d’attesa, la risposta istintiva è sempre la stessa: servono più prestazioni, più slot, più diagnostica, più specialisti. È il riflesso condizionato della politica e di una parte dell’opinione pubblica: al problema della domanda si risponde aumentando l’offerta. Ma se la domanda è malata, aumentare l’offerta non cura il sistema, lo intasa più velocemente.

Lo ha detto chiaramente Michele De Pascale, con un’onestà che raramente si ascolta in pubblico: «Dentro una lista d’attesa di mille persone, ce ne sono alcune che non avrebbero bisogno di quella prestazione. […] Ogni prestazione erogata a chi non ne avrebbe bisogno viene tolta a chi invece ne ha l’effettiva necessità».

Impallinato il cuore del problema. Non mancano solo le risorse. Manca un argine. Manca il filtro. Manca qualcuno, o qualcosa, che dica questo sì, questo no, questo non ora, questo non serve.

Scale infinite di impegno specialistico consumate da percorsi clinici che nessuno ha il coraggio di interrompere: noduli tiroidei benigni seguiti per anni, spesso decenni, senza che un clinico scriva nero su bianco che il viaggio può finire. Radiologie refertate con il pilota automatico che sfornano “si consiglia controllo annuale”, formule preconfezionate buone per ogni stagione e nessuna in particolare, dermatologie perfette che si concludono con “rivedersi tra 12 mesi”, ipertensioni ben controllate rimpallate al cardiologo come se il numero sul referto fosse un talismano da esorcizzare in ospedale.

E a ogni riga di quei referti qualcuno, inevitabilmente, resta incastrato: il medico di medicina generale, che dovrebbe fare da filtro, da regista, da interprete del bisogno reale, si ritrova troppo spesso nel ruolo di bersaglio. Se non invia il paziente richiesto dallo specialista temendo un contenzioso relazionale o medicolegale, rischia di essere percepito come quello che “nega gli accertamenti”. Se lo invia, alimenta quel meccanismo che tutti fingono di non vedere: la lista cresce non per eccesso di malattia, ma per eccesso di abitudine prescrittiva.

Certo, esiste anche l’inappropriatezza delle richieste di noi medici di medicina generale, e va riconosciuta. Mandare al cardiologo un paziente per ‘ipertensione’ per giunta con una pressione perfettamente compensata non è difendibile. Ma il fenomeno non si spiega con la caricatura del “MMG che invia tutto per paura o pigrizia”. Molto spesso è l’esito inevitabile di un sistema che spinge verso la deresponsabilizzazione clinica: lo specialista non chiude il percorso, non si assume la decisione di dimettere in follow up territoriale, non scrive “non necessita di ulteriori controlli”, preferisce una formula neutra che non gli costi capitale relazionale o esposizione legale, e lascia che il futuro venga deciso da un altro.

Inoltre manca totalmente la formazione, i nostri aggiornamenti raramente sono di iniziativa o su queste tematiche importanti. Ma soprattutto manca la formazione degli specialisti, perche’ spesso il conto da pagare arriva al medico di medicina generale quando la frittata e’ stata fatta in ospedale.

Così la sanità diventa davvero, come dice De Pascale, un click day. Veloce a premere, primo a ottenere. Nessuna stratificazione di bisogno, nessun triage reale, nessuna gerarchia clinica, nessun ateggiamento critico sulla domanda. Nella ricetta dematerializzata bastano “due parole in fondo”, ma nessuno le legge, nessuno le usa per modulare la priorità, nessuno ha gli strumenti per respingere l’inappropriato o chiedere conto del razionale clinico.

E mentre si moltiplicano esami e visite per chi non li necessita, chi ha davvero bisogno resta in fondo, invisibile come certe diagnosi rare, ma molto più frequente. È lì che si perde l’equità, non nella carenza di macchine o di medici.

La verità impopolare è questa: le liste d’attesa non si accorciano solo aggiungendo risorse, ma togliendo rumore.

Il vero cambio di paradigma non sarà una nuova lista appuntamenti nel privato convenzionato. Sarà il giorno in cui qualcuno dirà ufficialmente: per tutelare chi ha bisogno, dobbiamo smettere di accontentare chi non ne ha.

E soprattutto quando il sistema finalmente metterà il medico di medicina generale nelle condizioni di fare il filtro, non di subirlo. Ma per fare questo servono investimentiaul territorio e sulla formazione a 360 gradi del personale sanitario. Mentre la politica, non comprendendo radicalmente il problema, prova ad aggiungere slot che non basteranno mai.


di Marco Nardelli
Il commento di Pascale su https://www.piacenzasera.it/2025/11/pazienti-da-fuori-regione-intasano-la-sanita-serve-appropriatezza-nella-prescrizione-degli-esami/618774/

È difficile parlare delle   che uccidono. È difficile anche solo pensare che una madre possa lasciare morire la propria ...
09/11/2025

È difficile parlare delle che uccidono. È difficile anche solo pensare che una madre possa lasciare morire la propria bambina. Ogni parola sembra inadeguata davanti a un gesto che nega la vita stessa del legame . Parlare di madri che uccidono mette in crisi l’idea più profonda che abbiamo della maternità: luogo di cura, di protezione, di continuità. È come se si spezzasse qualcosa di antico, l’immagine originaria dell’amore, quella che ci fa credere che una madre non possa smettere di sentire, di amare, di proteggere il proprio .
Nel caso di Alessia non possiamo ridurre tutto alla cattiveria o alla follia. È qualcosa di più profondo: una madre che non riesce più a pensare la propria bambina come presenza viva, come parte di sé. È il collasso della materna.
La non è un istinto, ma una costruzione psichica. Nasce dalla capacità di immaginare il bambino, di sentirlo dentro anche quando tace, di preoccuparsi per lui prima ancora che pianga. Quando questa capacità si spegne, la realtà del figlio scompare dalla mente.
C’è una distanza profonda tra la fragilità di una mente che vacilla e quella che si spegne. Nelle fragilità che molto madri vivono dopo il parto, il pensiero resta vivo: la madre sente, si interroga, chiede aiuto. Nella Pifferi invece il pensiero si è interrotto, come se il filo che la collegava alla vita psichica della figlia si fosse spezzato.
La tragedia nasce da qui, da un vuoto che inghiotte tutto, dove la presenza del figlio non trova più posto nella mente della madre. E allora aiutare le madri nel tempo fragile dopo il parto significa riconoscere la vulnerabilità psichica che accompagna ogni nascita, esserci prima che il pensiero si spenga. Perché per prendersi cura di un bambino, bisogna prima prendersi cura della mente che lo pensa, la madre. Foto Scienze Forensi Magazine

L’  subita da Stephanie  , modella brasiliana di ventinove anni, sul treno regionale che da Bergamo la riportava a  , è ...
08/11/2025

L’ subita da Stephanie , modella brasiliana di ventinove anni, sul treno regionale che da Bergamo la riportava a , è un episodio che va oltre la cronaca e tocca il nucleo psichico della vulnerabilità umana. L’uomo che l’ha colpita è stato individuato e denunciato, ma la vicenda lascia una traccia profonda che interroga la mente collettiva.
L’attacco, improvviso e immotivato, avvenuto davanti a numerosi testimoni rimasti inerti, mostra quanto la paura e l’indifferenza possano paralizzare il pensiero.
Dal punto di vista psicologico la violenza subita in uno spazio pubblico rappresenta un trauma nel trauma: la persona che pochi istanti prima viaggiava in un contesto ordinario si ritrova improvvisamente esposta, disorientata, privata della sensazione di sicurezza che regge la vita quotidiana.
In quel momento la realtà si deforma, il corpo diventa campo di battaglia e il tempo si blocca. È il trauma dell’imprevedibile, che non nasce solo dal dolore fisico ma dalla perdita di senso, dalla scoperta che il mondo può trasformarsi in minaccia in un istante.
Ancora più lacerante è la percezione di essere soli: la vittima non subisce soltanto l’aggressione, ma anche la passività di chi assiste senza intervenire.
L’indifferenza dei presenti diventa una seconda ferita: quella della non-risposta. Dal punto di vista psichico il silenzio dell’Altro amplifica il perché toglie alla vittima il riconoscimento della propria sofferenza. È come se la scena violenta venisse assorbita dal vuoto, lasciando chi la subisce sospeso tra l’angoscia e l’incredulità. E il momento in cui la solitudine diventa più tagliente della violenza stessa.
In psicologia questo si traduce in un crollo della fiducia nel legame sociale, nella perdita della percezione che l’Altro possa proteggere o accogliere.
Per la mente è una frattura difficile da ricomporre, perché il mondo, da prevedibile, diventa improvvisamente estraneo.
E quando il mondo diventa estraneo la ferita più profonda non è nel corpo ma nell’anima dove si incrina la fiducia che l’Altro possa ancora vedere, capire e proteggere. Foto corriere di Milano

Nella notte di Halloween a Moncalieri un ragazzo disabile di quindici anni è stato attirato con un pretesto da tre coeta...
07/11/2025

Nella notte di Halloween a Moncalieri un ragazzo disabile di quindici anni è stato attirato con un pretesto da tre coetanei, rinchiuso, seviziato, rasato e umiliato fino a essere gettato in un fiume. Un atto di gruppo, gratuito e feroce, che interroga le radici psichiche della violenza giovanile.
La violenza è l’annullamento dell’Altro come soggetto. Non è solo un gesto aggressivo ma un fallimento psichico della capacità di riconoscere e contenere la differenza.
È un processo di deumanizzazione: l’Altro smette di essere persona e diventa oggetto su cui scaricare l’angoscia, la rabbia o la vergogna che non trovano altre vie. Nella violenza giovanile questa incapacità di pensare l’emozione si combina con bisogni di appartenenza e riconoscimento: il gruppo diventa teatro di prova del potere, luogo in cui la coscienza individuale si dissolve e l’azione collettiva autorizza ciò che da soli sarebbe impensabile.
La scelta di una vittima vulnerabile non è mai casuale perché incarna la parte fragile che gli aggressori non riescono ad accettare in sé. Ciò che non tollerano, la paura, la debolezza, la sensazione di impotenza, viene proiettato sull’Altro, che diventa il bersaglio su cui scaricare ciò che non possono sopportare dentro di sé. Umiliarlo significa allora liberarsi, in modo illusorio, dalla propria fragilità trasformandola in dominio e potere.

L’aggressione, agita in gruppo e in una notte che simbolicamente sospende le regole, assume una valenza rituale di onnipotenza e negazione della legge.
Sul piano psicologico emergono processi di identificazione con l’aggressore, difese contro il vuoto e gravi deficit di mentalizzazione ed empatia. La violenza allora non nasce dal desiderio di far soffrire ma dall’incapacità di accorgersi della sofferenza di chi si ha davanti.

Prevenire dunque significa educare alla consapevolezza emotiva, restituire al gruppo una funzione di pensiero, offrire modelli che contengano la rabbia e trasformino la forza in responsabilità.
Solo imparando a riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri si può restituire umanità ai legami e impedire che la violenza prenda spazio dentro le relazioni.

Iolanda Gaeta

Attraverso una lettura psicoanalitica dei legami verranno esplorate le radici psicologiche della violenza, le dinamiche ...
07/11/2025

Attraverso una lettura psicoanalitica dei legami verranno esplorate le radici psicologiche della violenza, le dinamiche affettive che la precedono e i segnali di riconoscimento della violenza psicologica, spesso invisibili ma profondamente distruttivi.
Un invito a comprendere e trasformare ciò che accade prima del gesto, restituendo al “no” il suo valore simbolico ed educativo.
Per iscriversi inviare una e-mail a
psicologiacondivisa25@gmail.com

07/11/2025
La notizia della laurea di Mauro Glorioso, conseguita alle Molinette di Torino, restituisce un’immagine semplice e poten...
06/11/2025

La notizia della laurea di Mauro Glorioso, conseguita alle Molinette di Torino, restituisce un’immagine semplice e potente della resilienza: non quella spettacolare, ma quella silenziosa che si costruisce giorno dopo giorno, nella continuità degli sforzi.
Due anni fa, un gesto improvviso e privo di senso ha cambiato radicalmente la sua vita. Colpito da una bicicletta lanciata dall’alto ai Murazzi di Torino, Mauro ha subito una lesione che lo ha costretto alla sedia a rotelle. Da allora nulla è stato come prima, ma il modo in cui ha scelto di affrontare l’imprevisto parla di una forza interiore che non ha bisogno di clamore. La resilienza è la capacità di accettare la realtà, anche quando si presenta nella sua forma più ingiusta, e di riorganizzarsi dentro di essa. Mauro non ha negato il dolore né cercato risposte consolatorie: ha scelto di restare in movimento, mentalmente e affettivamente. Continuare a studiare, a portare avanti un progetto, è diventato il suo modo di dire alla vita “ci sono ancora”.
La sua laurea non rappresenta il riscatto da una tragedia, ma la prosecuzione di un percorso interrotto. È la testimonianza che il pensiero può restare attivo anche quando il corpo si ferma, e che l’identità non si esaurisce nella perdita. Ogni traguardo conquistato dopo un trauma è una forma di adattamento: non il superamento del limite, ma la sua integrazione nel proprio modo di essere. La vicenda di Mauro ci ricorda che l’imprevedibilità fa parte della condizione umana e che la risposta possibile non è la rassegnazione, ma la costruzione di nuovi significati. La resilienza non elimina la ferita: la trasforma in un confine abitabile.
E in questo gesto, coerente e tenace, una laurea conquistata senza enfasi che si riconosce la dignità più profonda dell’essere umano: la capacità di non interrompere il proprio cammino.
Grazie dott.Glorioso per la Sua forza e la determinazione che ha mostrato, grazie per essere un esempio per tutti noi. foto Mediterraneo 24

La Forza di Mauro GloriosoLa notizia della laurea di Mauro Glorioso, conseguita alle Molinette di Torino, restituisce un...
06/11/2025

La Forza di Mauro Glorioso

La notizia della laurea di Mauro Glorioso, conseguita alle Molinette di Torino, restituisce un’immagine semplice e potente della resilienza: non quella spettacolare, ma quella silenziosa che si costruisce giorno dopo giorno, nella continuità degli sforzi.
Due anni fa, un gesto improvviso e privo di senso ha cambiato radicalmente la sua vita. Colpito da una bicicletta lanciata dall’alto ai Murazzi di Torino, Mauro ha subito una lesione che lo ha costretto alla sedia a rotelle.
Da allora nulla è stato come prima, ma il modo in cui ha scelto di affrontare l’imprevisto parla di una forza interiore che non ha bisogno di clamore.
La resilienza è la capacità di accettare la realtà, anche quando si presenta nella sua forma più ingiusta, e di riorganizzarsi dentro di essa. Mauro non ha negato il dolore né cercato risposte consolatorie: ha scelto di restare in movimento, mentalmente e affettivamente. Continuare a studiare, a portare avanti un progetto, è diventato il suo modo di dire alla vita “ci sono ancora”.
La sua laurea non rappresenta il riscatto da una tragedia, ma la prosecuzione di un percorso interrotto. È la testimonianza che il pensiero può restare attivo anche quando il corpo si ferma, e che l’identità non si esaurisce nella perdita. Ogni traguardo conquistato dopo un trauma è una forma di adattamento: non il superamento del limite, ma la sua integrazione nel proprio modo di essere.
La vicenda di Mauro ci ricorda che l’imprevedibilità fa parte della condizione umana e che la risposta possibile non è la rassegnazione, ma la costruzione di nuovi significati. La resilienza non elimina la ferita: la trasforma in un confine abitabile.
E in questo gesto, coerente e tenace, una laurea conquistata senza enfasi che si riconosce la dignità più profonda dell’essere umano: la capacità di non interrompere il proprio cammino.
Grazie dott. Glorioso per la Sua forza e la determinazione che ha mostrato, grazie per essere un esempio per tutti noi.

06/11/2025

La Ferita invisibile

Quando una bambina cresce in un contesto in cui l’umore degli adulti dipende da lei, interiorizza un messaggio sottile ma potente: per essere amata deve occuparsi delle emozioni altrui.
Se la madre è triste, diventa premurosa e silenziosa; se il padre si irrita, si adatta e trattiene la propria rabbia; se la famiglia è fragile, diventa precoce, saggia, capace di leggere gli stati d’animo prima ancora di comprenderli.
È un meccanismo di sopravvivenza psichica: il legame viene prima del Sé. L’amore infantile si piega al bisogno di mantenere la relazione, anche a costo di rinunciare alla spontaneità. Così si forma una ferita invisibile, quella della responsabilità emotiva precoce, che si confonde con l’amore e ne diventa il linguaggio dominante.

Da adulti, quella stessa bambina continua a credere di dover garantire l’equilibrio affettivo degli altri. Si scusa anche quando non ha colpa, teme di ferire chi ama, si sente in dovere di calmare, spiegare, aggiustare.
Ogni emozione altrui diventa un compito da gestire, ogni conflitto una minaccia. Ma questo modello, che nasce come gesto d’amore, diventa con il tempo una forma di prigionia affettiva: non permette di distinguere la cura dal controllo, la presenza dal sacrificio.

Riconoscere che non siamo responsabili delle emozioni degli altri significa restituire a ciascuno la propria responsabilità: possiamo accompagnare, comprendere, condividere, ma non possiamo salvare nessuno dalle proprie ombre. Ogni persona ha il diritto e la necessità di attraversare il proprio dolore per trasformarlo. Accettare di non sapere cosa sente davvero l’Altro è un atto di umiltà psichica, ma anche di rispetto profondo.

La bambina ferita guarisce quando smette di sentirsi necessaria per la felicità di chi ama. Quando comprende che può amare senza dover riparare, che può restare senza dover controllare.
È in quel momento che la responsabilità si trasforma in libertà, e l’amore torna ad essere incontro e non dipendenza.

La   agisce sulla  , cioè sulla capacità del cervello di modificare le proprie   in risposta all’esperienza. Ogni volta ...
05/11/2025

La agisce sulla , cioè sulla capacità del cervello di modificare le proprie in risposta all’esperienza. Ogni volta che un pensiero, un’emozione o un comportamento si ripete, il cervello rafforza i circuiti coinvolti, come se li riscrivesse. La offre un contesto in cui queste ripetizioni non sono più automatiche ma diventano pensabili: attraverso l’ e l’elaborazione, la crea nuove strade neuronali che sostituiscono quelle legate al trauma o alla sofferenza. Cambiare non è dimenticare, ma riprogrammare il cervello perché impari nuove modalità di sentire e di vivere.

Indirizzo

Studio Di Psicoterapia E Psicoanalisi
Turin
10023

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