28/10/2019
del
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Aiscé, distesa in giardino tra i tulipani, osservava il cielo. Vicino a lei, alla sua destra, stava il leprotto, e sulla sua spalla sinistra posava la colomba bianca appena sfuggita a Seifí il nero. La luce del sole riempiva gli occhi verdazzurri di Aiscé, i suoi capelli simili a fili d’oro risplendevano, e lei con una mano tirava dolcemente le orecchie del leprotto alla sua destra, mentre con l’altra coccolava la colomba posata sulla sua spalla sinistra. E, proprio in quel momento, ecco comparire lassù il Nuvolo. (...) Anche Aiscé scorse il Nuvolo. E il leprotto vide il Nuvolo, e lo riconobbe. Pure la colomba vide il Nuvolo, capí che si trattava di quello che l’aveva salvata, e batté lievemente le ali. Ma, il Nuvolo?
Eh, il Nuvolo non era più in condizioni di vedere né il leprotto, né la colomba. (...)
Il nuvolo trasse dunque un lungo respiro, fece “of”, e poi “ah”...
Aiscé gli mandó un bacio sulle punta delle dita, e quando quel bacio raggiunse il Nuvolo, lui si confuse tutto. Ma poi si ricompose, e prese la forma di una rosa grandiosa: da quando il cielo era cielo, in quel raso celeste non era mai fiorita una rosa bianca tanto bella, tanto grande.”
(Nâzim Hikmet, “Il Nuvolo innamorato”)