Dr. Antonio Fusco - Cardiologo e Aritmologo

Dr. Antonio Fusco - Cardiologo e Aritmologo Un contributo alla divulgazione medica e scientifica. Le informazioni non sostituiscono in nessun modo il rapporto medico/paziente.

Qualunque azione preventiva e curativa deve essere valutata, approvata e supervisionata dal proprio medico e/o specialista. Antonio Fusco si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Universita' "La Sapienza" di Roma e specializzato in Cardiologia presso l'Università di Modena. E' Responsabile dell'Unità di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione dell'Ospedale "P. Pederzoli" di Peschiera del Garda (VR), occupandosi prevalentemente di aritmologia clinica ed interventistica, e di elettrostimolazione; esegue ablazioni di tutte le aritmie e della fibrillazione atriale, sia con metodo radiofrequenza che con metodo crio, impianti di pacemaker e defibrillatori bicamerali e biventricolari. Ha eseguito il primo intervento a livello europeo di crioablazione su un adolescente per risolvere il problema di fibrillazione atriale parossistica. E' uno dei precursori dell'applicazione clinica degli studi più avanzati di medicina cellulare e cardiologia funzionale sul ruolo svolto da infiammazione cronica silente e stress ossidativo sull'innesco della fibrillazione atriale, nonché responsabili di molte patologie degenerative croniche. È uno dei maggiori esperti italiani sul tema della prevenzione cardiovascolare attraverso una specifica revisione dello stile di vita dal punto di vista alimentare e fisico, e dei benefici dell'integrazione mirata.
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Il Dr. Antonio Fusco riceve privatamente presso:
Ospedale P. Pederzoli, Via Monte Baldo, 24, Peschiera del Garda (VR)
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02/11/2025

Linee guida SI/NO. Facciamo chiarezza!
Questo estratto è tratto dal webinar che si è svolto su Il Giardino dei Libri il 29 ottobre 2025.

Le linee guida e i protocolli clinici rappresentano un tema tanto sentito quanto delicato nella pratica medica contemporanea. Sono strumenti concepiti per orientare le decisioni cliniche e fornire un punto di riferimento condiviso, evitando quella che sarebbe un'anarchia terapeutica completa. Il loro scopo originario è prezioso: offrire suggerimenti basati su ciò che è stato osservato nella letteratura scientifica rispetto a una specifica patologia.

Tuttavia, negli ultimi anni è avvenuto un cambiamento significativo. Per una serie di ragioni complesse, l’applicazione delle linee guida e dei protocolli in modo uguale per tutti i pazienti è diventata sempre più frequente, al punto da generare semplificazioni eccessive che hanno trasformato radicalmente il rapporto medico-paziente. In questo processo, il paziente ha progressivamente perso la propria individualità: il signor Giovanni non è più una persona con la sua storia, il suo stile di vita, le sue caratteristiche uniche. È diventato un numero: il numero uno, il numero mille, il numero diecimila di un protocollo standardizzato.

L'applicazione rigida delle linee guida prescinde dalle specificità individuali: l'età del paziente, le sue condizioni generali, il suo stile di vita passano in secondo piano. L'approccio diventa meccanico: se i parametri rientrano in una determinata categoria, si applica il protocollo previsto, indipendentemente dal contesto.

A questo modello standardizzato è necessario contrapporre quello che viene definito Medicina di precisione, un approccio che riporta il paziente al centro dell'attenzione medica. La Medicina di precisione prevede approfondimenti diagnostici mirati e, soprattutto, un'attenzione particolare allo stile di vita del singolo individuo.

È interessante notare che, paradossalmente, le stesse linee guida che spesso vengono applicate in modo rigido, le primissime indicazioni che prevedono vanno proprio in questa direzione. Nel caso del colesterolo, per esempio, le linee guida stabiliscono chiaramente che quando si riscontrano valori lipidici elevati, il primo intervento dovrebbe consistere in indicazioni per la revisione dello stile di vita. È esplicitamente previsto. Eppure, proprio a causa di quella semplificazione eccessiva di cui parlavo, queste raccomandazioni vengono frequentemente saltate, passando direttamente alla prescrizione farmacologica per ottenere rapidamente il risultato desiderato sui parametri.

La letteratura scientifica ci fornisce delle informazioni che il medico deve necessariamente interpretare alla luce della sua esperienza clinica. Gli studi possono dimostrare – per fare un esempio - che, su cento persone trattate con un determinato farmaco per il colesterolo, circa venti possono trarre un beneficio significativo, mentre le restanti ottanta no. È proprio in questo scenario che diventa fondamentale il ruolo della Medicina di precisione e degli esami di approfondimento, che permettono di andare oltre le analisi standard.

Questo stesso principio si applica anche ad altre condizioni, come l'ipertensione arteriosa. È fondamentale chiedersi sempre il perché di un determinato sintomo o parametro alterato. Perché la pressione è aumentata? Se si sceglie di inserire il paziente in un protocollo standard, la logica è semplice: una pressione di 150 mmHg è considerata anomala, quindi si prescrive un farmaco antipertensivo. La Medicina di precisione, invece, adotta un approccio diverso. Prima di prescrivere un farmaco, si indagano le cause: il paziente è in sovrappeso? Quali sono le sue abitudini alimentari? Pratica attività fisica regolare? L'obiettivo è modificare lo stile di vita e verificare se la pressione può tornare nei valori normali attraverso questi cambiamenti, come frequentemente accade nella pratica clinica. Questa è la differenza sostanziale: la Medicina di precisione richiede tempo per conoscere Giovanni come persona, mentre il protocollo standardizzato lo trasforma in un numero equivalente a tutti gli altri.

Conosco in prima persona, da medico ospedaliero, tutte le difficoltà nell'applicare questo approccio nella pratica quotidiana. I tempi a disposizione, specialmente negli ospedali, sono spesso compressi. Il numero di persone che necessitano di assistenza è elevato, le risorse sono limitate. Sono ostacoli reali e concreti.

Tuttavia, credo fermamente che anche solo l'atteggiamento mentale possa fare la differenza. Se noi medici manteniamo la consapevolezza che è possibile – e, aggiungo io, doveroso - praticare una Medicina di precisione, questo approccio mentale può trasformare significativamente il modo in cui ci rapportiamo ai pazienti.

Purtroppo, questo atteggiamento si è progressivamente affievolito nel tempo. È innegabile che sia molto più semplice e rapido inserire il paziente in un protocollo e risolvere la situazione con una prescrizione farmacologica. Ma la semplicità operativa non può giustificare la rinuncia a un approccio più completo e personalizzato.

Una questione di umanità, prima che di competenze. Esiste una dimensione profondamente umana in tutto questo. Molte persone che si trovano ad affrontare problemi di salute vivono situazioni di grande difficoltà. Avrebbero bisogno, prima ancora delle prescrizioni, di una parola di conforto, di un messaggio di speranza. Un supporto che non può essere esclusivamente farmacologico.

Tutti noi ci rendiamo conto che, man mano che aumenta il numero di farmaci prescritti, aumentano anche gli effetti collaterali e i disagi per il paziente. Per questo motivo, stabilire un dialogo autentico con la persona diventa essenziale, per accompagnarla, nei limiti del possibile, verso la risoluzione dei propri problemi attraverso un cambiamento dello stile di vita, e ricorrere alla terapia farmacologica solo quando questa si riveli effettivamente necessaria. Questo rappresenta l'approccio più corretto e completo alla cura.

Riconosco che questo non è sempre semplice da realizzare nella pratica quotidiana. Ma è verso questo obiettivo che dobbiamo tendere, mantenendo viva la consapevolezza che ogni persona merita di essere vista e curata nella sua unicità, non come un semplice numero all'interno di un protocollo.

L'obesità addominale batte tutti gli altri parametri di rischio cardiovascolarePochi giorni fa vi ho parlato di uno stud...
01/11/2025

L'obesità addominale batte tutti gli altri parametri di rischio cardiovascolare

Pochi giorni fa vi ho parlato di uno studio canadese che dimostrava come il grasso viscerale sia associato direttamente all'aterosclerosi carotidea, indipendentemente dai fattori di rischio cardiovascolare tradizionali.

Torno sull’argomento con il supporto di un altro studio recentissimo che rafforza ulteriormente questo messaggio e aggiunge dettagli importanti che meritano la vostra attenzione.

Parliamo di una ricerca italiana, condotta dall'Università di Bari e pubblicata su Cardiovascular Diabetology, che ha seguito prospetticamente oltre settecento pazienti per più di sette anni, valutando quali parametri fossero in grado di predire lo sviluppo di eventi cardiovascolari maggiori come infarti, ictus e insufficienza cardiaca.

I risultati sono chiari e coerenti con quanto già sappiamo.

L'obesità addominale, misurata semplicemente dalla circonferenza vita, si è confermata un predittore indipendente e potente di eventi cardiovascolari. Al contrario, l'obesità definita dal BMI non ha mostrato alcuna associazione significativa con gli eventi cardiovascolari.

Questo conferma ancora una volta che il BMI è un parametro inadeguato per valutare il rischio metabolico reale. Il problema non è quanto pesiamo sulla bilancia, ma dove accumuliamo il grasso.

Lo studio ha individuato anche un secondo predittore indipendente e solido: i bassi livelli di HDL, ciò che comunemente definiamo “colesterolo buono” alimentando un po' di confusione. In realtà l’HDL non è un "tipo" di colesterolo come erroneamente pensano tanti, ma una lipoproteina, cioè una delle navette che trasportano il colesterolo nel sangue.

Le HDL non si limita a rimuovere il colesterolo dalle arterie, svolgono numerose funzioni protettive: contrastano l’infiammazione, riducono lo stress ossidativo, proteggono le cellule dalla morte programmata e contribuiscono a mantenere stabile il rivestimento interno dei vasi sanguigni.

Gli autori hanno stratificato i pazienti secondo le classi di rischio utilizzate in Europa per calcolare il rischio cardiovascolare a dieci anni. Quello che hanno scoperto è preoccupante. I pazienti classificati secondo questi parametri nel gruppo a rischio moderato hanno avuto il maggior numero assoluto di eventi cardiovascolari durante il follow-up. Erano anche il primo sottogruppo a mostrare circonferenze vita sopra la soglia per la sindrome metabolica.

In altre parole, ci sono persone classificate a rischio moderato che in realtà hanno un rischio molto elevato mascherato dai punteggi tradizionali.

Questo è un dato che risulta coerente con quanto da anni osservo nel mio lavoro quotidiano dove ho riscontrato che oltre il 70% dei pazienti colpiti da infarto del miocardio aveva livelli di colesterolo nella norma o addirittura ritenuti “bassi”. È una percentuale troppo elevata per essere archiviata come un’eccezione. Infatti, esistono esempi di Paesi (come la Finlandia) dove i tassi di mortalità dovuti a malattie cardiovascolari sono calati in seguito a un grande lavoro di educazione e trasformazione degli stili di vita - dall’alimentazione all’attività fisica - pur senza un abbassamento significativo del valore medio di colesterolo nella popolazione.

Uno degli aspetti più rilevanti dello studio è l'analisi di coloro che non avevano obesità addominale secondo i criteri diagnostici standard. Ebbene, anche in questo sottogruppo apparentemente protetto, coloro che hanno sviluppato eventi cardiovascolari avevano circonferenza vita significativamente più alta rispetto a chi non ha avuto eventi.

Questo significa che anche valori di circonferenza vita che rimangono sotto le soglie diagnostiche attuali, ma che sono più elevati rispetto alla media sana, rappresentano comunque un fattore di rischio.

Torniamo a quanto ripeto instancabilmente in ogni occasione: la salute non può dipendere solo da un singolo numero che compare in un esame. I cut-off rigidi del tipo sì o no sopra una certa soglia sono troppo semplicistici.

Perché il grasso addominale è così pericoloso? Il tessuto adiposo viscerale non è un deposito inerte di energia. È un organo endocrino attivo che produce continuamente sostanze infiammatorie, molecole che alterano il metabolismo, e radicali liberi che danneggiano le cellule. Queste sostanze raggiungono direttamente le arterie. Pensate alle coronarie che scorrono sulla superficie del cuore, letteralmente immerse nel grasso epicardico quando c'è obesità addominale. Quel grasso produce molecole che danneggiano l'endotelio, promuovono l'infiammazione della parete arteriosa, favoriscono la formazione e l'instabilità delle placche aterosclerotiche.

Inoltre, l'eccesso di grasso viscerale crea insulino-resistenza, altera il profilo lipidico rendendolo più aterogenico, attiva processi infiammatori cronici, peggiora l'ipertensione attraverso alterazioni ormonali. È un circolo vizioso che si auto-alimenta.

Il grasso che non si vede, quello viscerale, è molto più pericoloso di quello che pizzichiamo davanti allo specchio. E quando vediamo la sporgenza della pancetta, dobbiamo sapere che sotto c'è già un accumulo di grasso che sta silenziosamente danneggiando il nostro sistema cardiovascolare.

La buona notizia? Tutto questo è largamente reversibile con le scelte giuste. Non aspettiamo che il rischio diventi un evento.

Il grasso che non si vede è causa diretta di aterosclerosi (altro che i numerini del colesterolo)Un ampio studio pubblic...
30/10/2025

Il grasso che non si vede è causa diretta di aterosclerosi (altro che i numerini del colesterolo)

Un ampio studio pubblicato pochi giorni fa su Communications Medicine, rivista del gruppo Nature Portfolio, ha esaminato oltre 33.000 persone tra Canada e Regno Unito utilizzando tecniche di imaging avanzate come la risonanza magnetica. I ricercatori hanno misurato con precisione il grasso viscerale – quello che si accumula nella cavità addominale attorno agli organi – e il grasso epatico, valutandone poi l'associazione con l'aterosclerosi delle carotidi.

I risultati sono inequivocabili e meritano di essere compresi a fondo.

Il grasso viscerale è uno dei nemici numero uno della nostra salute. Il vero nemico non è quello che pizzichiamo con le dita davanti allo specchio (grasso sottocutaneo), ma quello che silenziosamente avvolge i nostri visceri.

Lo studio rivela che la presenza di grasso viscerale mostra un'associazione DIRETTA e INDIPENDENTE con l'ispessimento e l'irrigidimento delle arterie carotidee.

Questa relazione persiste anche dopo aver tenuto conto di tutti i fattori di rischio cardiovascolare tradizionali: età, sesso, fumo, pressione arteriosa, colesterolo, diabete.

In pratica, più grasso viscerale si accumula, maggiore è il danno alle pareti arteriose, indipendentemente dagli altri parametri che i medici controllano abitualmente.

Permettetemi di spiegarvi perché questo è così importante.

Il grasso viscerale non è semplicemente un deposito inerte di energia che ci appesantisce quando facciamo le scale. È un tessuto metabolicamente attivo, un vero e proprio organo endocrino che produce continuamente sostanze chiamate citochine infiammatorie. Queste molecole sono come piccoli messaggeri chimici che diffondono l'infiammazione in tutto l'organismo, raggiungendo le pareti dei vasi sanguigni, il cuore, il fegato, il pancreas.

Prendiamo le arterie coronarie, quelle che portano sangue ossigenato al muscolo cardiaco. Scorrono sulla superficie esterna del cuore, non al suo interno – un dettaglio anatomico fondamentale. Quando siamo in sovrappeso, il grasso viscerale comincia ad accumularsi proprio lì, avvolgendo progressivamente il cuore come in un abbraccio soffocante. Quel grasso, producendo citochine infiammatorie, entra in contatto diretto con le cellule che rivestono l'interno delle coronarie, l'endotelio vascolare. Non è un processo immediato, ma graduale: le cellule infiammate smettono di funzionare correttamente, il sangue scorre meno bene, e nel corso degli anni si formano quelle placche che possono portare all'infarto.

Lo studio conferma con dati solidi e robusti ciò che chi mi conosce mi sente ripetere da tempo: il grasso viscerale rappresenta un predittore indipendente di aterosclerosi. Anche quando si correggono statisticamente tutti gli altri fattori di rischio conosciuti, la sua presenza continua ad associarsi con un maggior danno vascolare. Il grasso sottocutaneo, quello visibile e palpabile che tanto ci preoccupa esteticamente, ha invece un ruolo molto meno pericoloso dal punto di vista metabolico.

E qui arriva un'altra verità scomoda che non possiamo ignorare: non serve avere un aspetto palesemente "in sovrappeso" per essere a rischio. Già nel 2012 i ricercatori dell'Imperial College di Londra avevano coniato l'espressione TOFI – Thin Outside, Fat Inside, "magri fuori, grassi dentro" – per descrivere persone apparentemente magre che mostravano alla risonanza magnetica significativi depositi di grasso viscerale. Non parliamo di casi isolati: stimarono che tra il 13 e il 18% delle persone di peso "normale" fossero metabolicamente obese.

Questo nuovo studio ribadisce lo stesso concetto: l'aspetto esteriore non è un indicatore affidabile dello stato metabolico. Si può avere una quantità pericolosa di grasso viscerale senza saperlo, senza vederlo allo specchio.

La pancetta, anche se appena accennata, è un messaggio che il corpo sta mandando. È il segnale visibile di un problema invisibile: se notate una piccola sporgenza addominale, il grasso viscerale ha già avvolto i vostri organi interni, compreso il cuore. È l'infiammazione silente che prepara il terreno per l'ipertensione, il diabete, l'infarto, la steatosi epatica.

Ma come si arriva a questo punto?

Il nostro corpo possiede una saggezza antica. Per millenni, il tessuto adiposo è stato un prezioso alleato nella sopravvivenza: nelle epoche caratterizzate da alternanza tra abbondanza e carestia, i nostri antenati dipendevano dall'accumulo di grasso come riserva energetica per affrontare i lunghi inverni. Per questo motivo, il nostro organismo non è progettato per avere meccanismi di allarme specifici contro l'eccesso di grasso viscerale e può immagazzinare quantità virtualmente illimitate di trigliceridi.

L'unico segnale naturale di controllo è la sazietà, regolata da un complesso intreccio di ormoni, segnali nervosi e stimoli digestivi. Tuttavia, questo equilibrio può essere facilmente alterato: i cibi ricchi di carboidrati stimolano il rilascio di dopamina, lo stesso neurotrasmettitore coinvolto nei circuiti di gratificazione attivati da alcune droghe. Il risultato è un ciclo di piacere e desiderio che può sfociare in una vera dipendenza.

Mangiare continuamente cibi iperinsulinogenici – amidi, zuccheri, carboidrati – innesca un circolo vizioso. Il glucosio che non viene immediatamente utilizzato a scopo energetico (cosa che accade raramente nella vita sedentaria moderna) stimola un'eccessiva secrezione di insulina. L'eccesso di insulina prodotta dal pancreas trasforma tutto il glucosio che il fegato non riesce a immagazzinare in grasso viscerale, che si accumula nella pancia negli uomini, nella pancia e nelle cosce nelle donne.

Anche il fegato diventa grasso: all'ecografia appare come "fegato steatosico". E qui devo sottolinearlo con forza: in questi casi NON dovete diminuire i grassi buoni della dieta, ma gli zuccheri, i carboidrati! Non a caso, per far ingrassare il fegato delle oche negli allevamenti destinati al foie gras, gli animali vengono ingozzati di zucchero fin da piccoli – una crudeltà che la legge dovrebbe vietare, ma che ci insegna molto sulla fisiologia.

Questo studio conferma anche l'associazione tra grasso epatico e aterosclerosi. Il messaggio è chiaro: entrambi questi accumuli di grasso sono dannosi, anche se agiscono attraverso meccanismi diversi.

La buona notizia – e voglio che questo sia chiaro – è che tutto questo è reversibile.

Il grasso viscerale e il grasso epatico possono diminuire con le scelte giuste. Non serve contare ossessivamente le calorie o eliminare i grassi dalla dieta. Serve mangiare meglio: ridurre drasticamente i cibi che stimolano eccessive risposte insuliniche, scegliere grassi di qualità, proteine adeguate, carboidrati intelligenti come quelli da vegetali. E serve muoversi, con costanza e regolarità.

Non sto parlando di canoni estetici o di apparenze. Non sto giudicando la corporatura di nessuno – pratiche stupide e deplorevoli come il body shaming non hanno posto in una discussione seria sulla salute. Il mio interesse nasce da una preoccupazione sincera per il benessere di tutti.

È sorprendente come, nonostante anni di informazione sulle abitudini alimentari di colleghi che vanno a raccontare che "gli italiani sono il popolo che mangia meglio", l'accumulo di grasso corporeo continui ad aumentare. Ma forse è proprio qui il problema: ci hanno parlato per decenni dei grassi alimentari come nemici, quando invece dovevamo guardare agli zuccheri e ai carboidrati in eccesso. Ci hanno detto di mangiare "meno grassi", quando dovevamo imparare a distinguere tra grassi buoni e cattivi, tra cibi veri e prodotti ultraprocessati industriali.

Questa nuova ricerca ci ricorda che la Scienza seria, quella fatta con metodi rigorosi e numeri importanti, continua a darci ragione. Il grasso viscerale non è un problema estetico, è un problema di salute pubblica. È un mediatore dell'infiammazione che contribuisce a innescare conseguenze devastanti per la salute cardiovascolare.

Quel piccolo strato addominale che vedete davanti allo specchio, anche se apparentemente innocuo, è una spia metabolica. Il corpo parla sempre, attraverso segnali precisi. Basta imparare ad ascoltarlo.

E ora che abbiamo conferme scientifiche sempre più solide, non possiamo più ignorare il messaggio: prendiamo sul serio di doversi occupare del nostro grasso invisibile prima che diventi un problema visibile nelle nostre arterie.

Grazie di cuore a tutti voi. ❤️Stasera abbiamo condiviso un momento in diretta davvero speciale con migliaia di persone ...
29/10/2025

Grazie di cuore a tutti voi. ❤️
Stasera abbiamo condiviso un momento in diretta davvero speciale con migliaia di persone collegate su Il Giardino dei Libri per parlare di prevenzione cardiovascolare. È il segno che sempre più persone vogliono informarsi, prendersi cura di sé e fare prevenzione prima che la malattia si manifesti.

Come medico, vedere così tanta partecipazione mi riempie di gratitudine e di speranza. La salute del cuore non è un dettaglio: è la base della nostra energia, del nostro futuro, della vita che vogliamo vivere.

Grazie a Roberto Feroli per avermi accompagnato nel webinar con domande estremamente pertinenti e con una conduzione impeccabile.

Grazie soprattutto a chi ha ascoltato, a chi ha fatto domande, a chi ha condiviso la diretta con familiari e amici.
Continuate a prendervi cura di voi stessi, un passo alla volta: piccole scelte quotidiane possono cambiare la storia della nostra salute.

Ci vediamo presto, con nuove occasioni per parlare di prevenzione, benessere e consapevolezza.
Un abbraccio a tutti.

Per chi si fosse perso il webinar o chi volesse rivedere alcune parti, questo è il link
https://www.youtube.com/live/N-dC2-OcBYc?si=ThGcJUelSJhjgcz2&t=323

La Medicina dell'incertezza e del buon senso del medico.È appena uscito su Stroke, la rivista ufficiale dell'AHA/ASA (Am...
26/10/2025

La Medicina dell'incertezza e del buon senso del medico.

È appena uscito su Stroke, la rivista ufficiale dell'AHA/ASA (American Heart Association/American Stroke Association) dedicata alle malattie cerebrovascolari, uno studio che dovrebbe farci riflettere profondamente sul modo in cui pratichiamo la Medicina oggi.

Il fatto che sia pubblicato sulla rivista dell'AHA/ASA rende questa ricerca ancora più significativa: non si tratta di critiche esterne o di voci dissidenti, ma di un'analisi rigorosa pubblicata dalla stessa organizzazione che produce le linee guida esaminate. È la Medicina ufficiale che guarda sé stessa allo specchio.

I ricercatori hanno esaminato sistematicamente tutte le linee guida sull'ictus pubblicate negli ultimi trent'anni dalle due principali società scientifiche mondiali: l'AHA/ASA e la ESO (European Stroke Organisation), le stesse organizzazioni che definiscono gli standard di cura seguiti in tutto il mondo.
In altre parole, questo rappresenta il massimo livello di autorevolezza scientifica "ufficiale": non opinioni di un gruppo di contestatori.

L'obiettivo era semplice: capire su quali fondamenta poggiano le raccomandazioni che ogni giorno orientano le decisioni cliniche dei medici.
"Quanto di quello che facciamo è davvero sostenuto da prove scientifiche solide, quegli studi randomizzati controllati che consideriamo il “gold standard” della Medicina basata sull'evidenza?"

Il risultato sorprenderà solo chi vive lontano dalla realtà della pratica clinica.

Meno del 15% delle raccomandazioni si basa su evidenze di livello "A", cioè su studi multipli, ampi, rigorosi.
La maggior parte – circa la metà – si fonda su evidenze di livello intermedio, provenienti da studi osservazionali o singoli trial (aggiungo io, spesso finanziati da case farmaceutiche).
Un terzo abbondante deriva da discussioni tra accademici o da dati limitati.

In Europa il quadro è ancora più eloquente: solo il 7% delle raccomandazioni ESO poggia su prove di alta qualità. Per un terzo delle questioni cliniche affrontate, non esistono nemmeno dati sufficienti per formulare una raccomandazione. E anche quando le società scientifiche esprimono raccomandazioni "forti" – quelle del tipo "dovreste assolutamente fare così" – solo nel 20% dei casi queste sono sostenute da evidenze di alto livello.

C'è di più: nel tempo, mentre il numero totale di raccomandazioni è aumentato (segno della crescente complessità della medicina moderna), la proporzione di quelle sostenute da prove solide è paradossalmente diminuita.

Questi dati ci invitano a recuperare un'umiltà profonda nel nostro essere medici. A riconoscere che molto di quello che facciamo si basa su un sapere provvisorio, su ipotesi ragionevoli più che su certezze granitiche. E questo non è un limite da nascondere, ma una realtà da accettare e comunicare onestamente.

Attenzione però: questo non significa che le linee guida siano tutte sbagliate o inutili. Il vero significato di questi dati è che troppo spesso si dimentica che la Medicina non è una scienza esatta che può offrire sempre risposte certe. È piuttosto un'arte complessa che naviga costantemente tra evidenze parziali, esperienza clinica e - soprattutto - l'unicità del singolo paziente.

Questa consapevolezza dovrebbe spingerci a ripensare radicalmente il nostro approccio. Invece di nascondersi dietro parametri e protocolli, è urgente ritornare ad una vera ricerca delle cause. Troppe volte la Medicina moderna si riduce a una rincorsa ossessiva ai "normali" – la pressione sotto “X”, il colesterolo LDL sotto “Y”, l'emoglobina glicata sotto il “Z”, dimenticando che questi numeri sono solo la superficie visibile di processi molto più profondi e complessi.

Dietro un'ipertensione c'è una storia: di stress cronico, di alimentazione squilibrata, di sonno disturbato, di sedentarietà, talvolta di traumi emotivi mai elaborati. Dietro una dislipidemia c'è un metabolismo che parla di infiammazione, di stress ossidativo, di resistenza insulinica, di disbiosi intestinale.

Concentrarsi solo sui numeri significa diventare esasperatamente focalizzati solo sui sintomi ignorando completamente la radice degli stessi. È come spegnere continuamente l'allarme antincendio senza mai cercare dove sia il fuoco.

Non si tratta di essere "contro" le linee guida: si tratta di riconoscerne i limiti e di integrarle in una visione più ampia e umana della cura. Le linee guida sono mappe, non territori. Sono punti di partenza, non di arrivo.

Quello che invece serve è una nuova alleanza tra medico e paziente.
Un'alleanza in cui il medico non sia il depositario di verità assolute (che non esistono) da applicare meccanicamente, ma un compagno di viaggio che aiuta il paziente a comprendere non solo il "cosa" della sua condizione, ma soprattutto il "perché".

Significa passare da "Lei ha la pressione alta, deve prendere questa pastiglia" o "Lei ha il colesterolo alto, prenda le statine" all'esercitare la vera arte della cura: "Vediamo insieme cosa nella sua vita potrebbe contribuire a migliorare la sua salute e come possiamo affrontarlo su più fronti".

Significa trasformare il paziente da oggetto passivo di protocolli standardizzati a soggetto attivo del proprio percorso di salute.

In questa prospettiva, l'incertezza non è una debolezza da nascondere ma una risorsa da valorizzare. Dire "non sappiamo tutto" non mina l'autorevolezza del medico, la rafforza. Perché solo riconoscendo i limiti del nostro sapere possiamo aprirci a un ascolto autentico, a una personalizzazione vera della cura, a una collaborazione genuina con chi abbiamo di fronte.

Le linee guida continueranno a evolversi, nuovi studi colmeranno alcune lacune (anche se probabilmente ne apriranno altre). Nel frattempo, il nostro compito è usare con saggezza quello che abbiamo, senza dimenticare che ogni paziente è unico, ogni storia è diversa, ogni percorso di cura deve essere costruito su misura.

Questo studio su Stroke non è solo un'analisi statistica delle evidenze scientifiche. È un invito alla riflessione profonda su cosa significhi davvero curare nell'era della medicina moderna. Ci ricorda che la Scienza, quando è onesta, sa riconoscere i propri limiti. E proprio da questa consapevolezza può nascere una medicina più umana, più vera, più efficace.

Non abbiamo bisogno di più sensazionalismo o di false certezze. Abbiamo bisogno di più umiltà, più ascolto, più tempo per comprendere le vere cause del malessere. Abbiamo bisogno di medici che sappiano essere guide consapevoli e di pazienti che si sentano protagonisti informati del proprio percorso di salute.

Ma c'è un passaggio fondamentale che dobbiamo affrontare con onestà: anche i pazienti devono fare un salto di qualità. Non possono limitarsi a pretendere una prescrizione che risolva magicamente tutto. Devono prendere sul serio il cambiamento dello stile di vita, in modo radicale, anche quando questo significa abbandonare comode abitudini consolidate negli anni.

La vera salute richiede impegno da entrambe le parti: un medico che sappia ascoltare e guidare, un paziente che sia disposto a mettersi davvero in gioco.

La strada è ancora lunga, ma almeno ora sappiamo meglio dove siamo. E da qui possiamo ripartire, insieme, con maggiore consapevolezza e responsabilità reciproca.

Per decenni abbiamo sentito demonizzare genericamente i grassi, ma oggi la ricerca scientifica ci invita a fare pace con...
12/10/2025

Per decenni abbiamo sentito demonizzare genericamente i grassi, ma oggi la ricerca scientifica ci invita a fare pace con loro. Li abbiamo accusati di tutto: colesterolo alto, arterie ostruite, chili di troppo.
Gli ultimi studi ci suggeriscono non solo che i grassi non sono tutti uguali, ma che alcuni, se scelti bene, possono perfino proteggere il cuore.

Uno recente studio longitudinale condotto su oltre 2400 adulti seguiti per 18 anni ha messo a confronto b***o, margarina e oli vegetali non idrogenati in relazione al rischio cardiovascolare e metabolico.

I risultati deluderanno chi è cresciuto con l’idea che “il b***o fa male al cuore”, ma chi ne consumava più di un cucchiaino al giorno mostrava minore resistenza insulinica, trigliceridi più bassi, HDL più alto e un rischio di diabete di tipo 2 ridotto del 31%.
Al contrario, il consumo regolare di margarina era associato a un aumento del 29% del rischio di malattie cardiovascolari e del 41% di diabete.
In altre parole, non è la quantità di grasso a fare la differenza, ma la sua qualità e il grado di trasformazione.
I grassi naturali, non idrogenati, sostengono meglio i nostri equilibri metabolici rispetto alle alternative industriali.
Il messaggio non è “via libera al b***o”, ma piuttosto un invito a fare scelte consapevoli e informate.

Per esempio, un buon consiglio è, se possibile, preferire il b***o chiarificato delle malghe. Si ottiene da latte di alta qualità, proveniente da vacche che pascolano libere in aree montane. L’erba fresca e le erbe spontanee di cui si nutrono rendono il latte – e quindi il b***o – naturalmente più profumato e di un colore giallo dorato, dovuto ai carotenoidi presenti nei pascoli.
Un b***o di qualità dovrebbe contenere soltanto panna (e, al massimo, un po’ di sale), senza additivi, aromi o conservanti.
Durante la chiarificazione l’acqua e le proteine vengono eliminate, trasformandolo in un grasso quasi puro – oltre il 99% – con residui minimi di lattosio e caseina. Questo lo rende più stabile alle alte temperature e, per molti, anche più digeribile.
La produzione artigianale, tipica delle malghe, consente in molti casi un controllo più attento di ogni fase, nel rispetto dei ritmi naturali. Il risultato è un alimento genuino, ricco di vitamine liposolubili (A, E, D, K) e con un profilo di acidi grassi più equilibrato, grazie alla vita al pascolo che favorisce la presenza di omega-3

Perché la salute del cuore non dipende solo dai numeri del colesterolo, ma da come alimentiamo ogni giorno il nostro metabolismo e, con esso, la nostra energia, l’umore e persino la capacità di vivere relazioni stabili e serene.

Zhou, X., et al. (2025). Associations of common fats and oils with cardiometabolic health outcomes in the Framingham Offspring cohort. European Journal of Clinical Nutrition, 79, 904-911.
https://www.nature.com/articles/s41430-025-01601-5

Indirizzo

Peschiera Del Garda

Sito Web

https://latracciabuona.it/fibrillazioneatriale, https://latracciabuona.it/libri/battiti-d

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