30/04/2016
Oggi è la giornata del Quinto Principio della Carta Italiana per la Promozione delle Vaccinazioni che richiama l’attenzione su quanto sia fondamentale la comunicazione fra gli operatori sanitari a tutti i livelli e la popolazione, argomento importante e spinoso che si scontra innanzitutto con una problematica di “atteggiamento” da entrambe le parti. Da un lato, le Istituzioni e gli operatori sanitari pensano che sia più importante svolgere il proprio lavoro del “perdersi in chiacchiere”, a volte perché credono di essere depositari di un sapere segreto, altre volte perché l’attività della comunicazione richiede molto tempo e qualche competenza in più. Dall’altro canto, i non addetti ai lavori hanno alzato il livello delle pretese, chiedono a gran voce risposte nette e definitive e troppo spesso si affidano a notizie non sempre attendibili, piluccate qui e la in quel mondo liquido e insidioso che è la rete, dimenticandosi che per la scienza, ogni affermazione va supportata da dati ed evidenze.
È nelle pieghe di questa contrapposizione che si inseriscono personaggi poco attendibili che, per soddisfare la tasca o la vanagloria o per colmare un certo senso di inferiorità, ricorrono a tecniche da psicosetta (“solo io posso capirti”) o da comunicazione strategica di marketing (“nessuno ve lo dice, ka$ta…sveliaaa!1!!!1!!11!!!”) per instillare dubbi spesso infondati, paranoie di gruppo, allarmismi di bassa lega e pericolosi. Sono persone che approfittano della non educazione e della fragilità di alcune persone, fanno leva sulla facile emotività e su un certo senso di diffusa “disillusione”. Tutto questo, senza tener conto del fatto che in realtà il campo della comunicazione in medicina assai delicato.
Vediamo perché? Perché le evidenze cliniche sono spesso difficili da capire e le statistiche non sempre alla portata di tutti (compresi alcuni operatori sanitari) e non è difficile manipolare più o meno intenzionalmente le informazioni e determinare una percezione sbagliata del rischio. Poi, perché viviamo in una società tecnologicamente avanzata e in cui le informazioni si diffondono assai più rapidamente di un tempo ma sostanzialmente poco educata ad una “cultura delle evidenze”. Non dimentichiamoci che le esigenze della mondo scientifico non sempre coincidono con le preferenze della gente e con i valori mutevoli di una società.
Ecco perché si fanno tanti studi sulla comunicazione scientifica e molte risorse da ambo le parti sono impegnate nel cercare soluzioni. La comunità scientifica e gli esperti della comunicazione continuano infatti ad esplorare quest’ambito e a proporre sempre nuove ed aggiornate strategie.
Qualche esempio? È meglio parlare alla gente in termini di rischio, spiegare bene cos’è una percentuale di rischio, usare i numeri piuttosto che i tassi, parlare sia di mortalità che sopravvivenza, usare un linguaggio diretto, smontare le false informazioni e fornirne sempre di corrette. Bisogna aiutare i non addetti ai lavori a leggere la documentazione disponibile, spiegare cosa sono i livelli di evidenza, quando uno studio è corretto e attendibile e quando no, raccontare che la statistica non è uno strumento di manipolazione ma di lettura dei dati. Bisogna ricordare che una sindrome, un sintomo, una malattia non sempre riconoscono una singola causa ma più spesso varie cause e alcuni fattori predisponenti. Insomma, i medici dovrebbero spiegare, coinvolgere ed essere pazienti, le persone normali dovrebbero imparare ad ascoltare, fidarsi e predisporsi a conoscere gli strumenti della scienza…perciò, è importante non improvvisare in questo campo!
Per chi volesse approfondire, da poco, il Centro Europeo per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (ECDC) ne ha parlato in vari documenti e linee guida, alcuni dei quali centrati sui vaccini, che potete trovare qui:
http://ecdc.europa.eu/en/publications/technical_documents/Pages/index.aspx