04/12/2025
Non è psicologia motivazionale: è neurobiologia della leadership.
Un gruppo, famiglia o team sportivo o squadra nel mondo del lavoro non si unisce perché va d’accordo.
Si unisce quando qualcuno guida il conflitto verso un senso più grande.
Il Sudafrica del ’95 era tutto tranne che unito.
I Springboks rappresentavano l’élite bianca e una larga parte della popolazione nera li rifiutava.
Quel team era il simbolo delle spaccature di un intero paese.
Mandela fece una cosa che oggi le neuroscienze confermano:
usò l’empatia come strumento strategico.
Non parlò di “pace” come slogan.
Lavorò sul clima emotivo.
E quando un leader cambia il clima emotivo, cambia la chimica del gruppo:
🔸 cala il cortisolo sociale
🔸 aumenta l’ossitocina
🔸 cresce la fiducia
🔸 si abbassa la minaccia percepita
🔸 la cooperazione diventa possibile
Coinvolse Pienaar, ridisegnò significati, trasformò un simbolo divisivo in un ponte.
E mentre il Paese vedeva l’altro come “nemico”, lui mostrò che l’altro può diventare risorsa.
Questa è leadership culturale:
non evitare il conflitto, ma trasformarlo.
Non cancellare un’identità, ma includerla in una visione più grande.
La storia dei Springboks ci ricorda questo:
un gruppo diventa “noi” quando qualcuno ha il coraggio di vedere l’altro… E quando si ha il coraggio di stare e soffrire assieme (Invictus)
e far sì che l’altro si senta visto.