28/11/2025
«Il paradiso è già qui, ma non lo sappiamo».
Questo il primo pensiero che ho avuto vedendo questo spettacolo.
Che puntualmente ho fotografato, pensando di condividerlo qui con voi.
Poi ho riflettuto su ciò che avevo pensato.
È di tutte quelle volte che, leggendo frasi simili, mi è balzato un altro pensiero:
«Solo parole! Frasi fatte!»
Un qualcosa di analogo avviene talvolta quando si legge sull’amore.
Come quello tra due innamorati, o due amici.
O tra un genitore e un figlio.
E perché no, anche quello tra il padrone e la propria bestiola di casa.
Frasi che appaiono a tratti mielose e a tratti sdolcinate.
Almeno fino a quando non le si vivono emotivamente.
Perché in quell’istante quelle parole cambiano per noi.
Acquisendo un senso tutto nuovo, che prima non avevano.
È lì che le capiamo veramente.
Ma fino a quel momento: parole vuote, scontate.
Banali persino, quando si è “in buona”, “in vena di complimenti”.
O forse quando si vorrebbe semplicemente viverle intensamente.
Ma non le si vive.
Perché ne abbiamo paura, le rifiutiamo.
Quasi disgustandoci al solo pensiero di poterle provare o di averle provate.
«Io? Vivere quella roba lì? No di certo! È da deboli!».
Eppure quelle emozioni esistono dentro di noi.
Anche quando non le sentiamo, non vogliamo sentirle o non riusciamo a sentirle.
Esistono e abitano il nostro mondo.
Non meno di scenari come quelli rappresentati in questa foto.
Accorgersene è il problema.
A volte appaiono così, da un momento all’altro.
Come durante una corsa mattutina.
Altre volte invece bisogna quasi andarsele a cercare.
Nei ricordi o in luoghi in cui in passato abbiamo trovato qualcosa.
Un’emozione, un sentimento.
Ma anche in luoghi nuovi, inesplorati.
Perché niente ha senso se non negli occhi di chi lo guarda.
E se tutto questo non bastasse?
Dove potremmo ritrovare simili stati d'animo?
Nella riluttanza che si starebbe provando al pensiero di viverle, per esempio.
O nella rabbia che staremmo provando nel non sentirle.
È lì che si annidano.
Tutte quante.
Ben schermate da tutti i nostri sforzi inconsapevoli di tenerle lontane da noi.
Perché oggi accedere a esse equivarrebbe a toccare con mano un gran dolore.
Il dolore di chi crede che qualcosa di bello e di cui si ha bisogno non potrà esserci.
E per non soffrire si arriva così a non entusiasmarsi più.
Neanche di fronte a ciò che potrebbe farci vivere belle sensazioni.
Un paradiso perduto, in pratica, accessibile a tutti, fuorché a noi.
Destinati a un purgatorio perpetuo o a un inferno senza uscita.
Questo è il dramma di chi ha vissuto un trauma.
E tanto più profonda è questa ferita, quanto più distante appare questo paradiso.
Anche perché solo immaginarlo fa riaprire ferite mai rimarginate.
A alle quali si crede non possa esserci cura.
Come poter credere in una cura, infatti, se anche solo crederci fa così soffrire?
Ma il pubblico interno resta diviso:
Come poter credere di andare avanti nella vita senza la cura degli affetti?
«Io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai. Amore che vieni, amore che vai»