26/10/2025
— E tu cosa vuoi essere, Ju-Yung? — mi chiese mio padre, mentre portavamo insieme un sacco di riso.
— Non lo so — risposi — ma non questo.
Sono nato ad Asan, un villaggio così povero che perfino la terra sembrava prestata.
A casa eravamo in tanti: se uno piangeva, l’altro doveva aspettare il suo turno.
Mangiavamo una volta al giorno. A volte nemmeno quella.
Mia madre cucinava quel poco che avevamo in una pentola senza coperchio,
e mio padre ripeteva che la terra era l’unica certezza nella vita.
Ma io non volevo la terra.
Né il riso.
Né la rassegnazione.
A sedici anni, senza un centesimo, me ne andai.
Camminai per più di duecento chilometri fino a Seoul.
A piedi nudi, con un asciugamano al collo, un cambio di vestiti
e la fame come unico motore.
— Sai fare qualcosa? — mi chiesero al mio primo lavoro.
— So provarci — dissi.
Fui assistente muratore, poi operaio, poi falegname.
Dormivo sul pavimento dei cantieri o in stanze affittate a ore.
Mi avvolgevo nei giornali per non morire di freddo.
Mi promisi che ogni notte passata sul pavimento
sarebbe stata un mattone in più per costruire la mia casa.
Col tempo aprii un piccolo laboratorio.
Mi sentivo invincibile… finché non mi truffarono.
Persi tutto.
La vergogna mi divorava più della fame.
Pensai di arrendermi. Pensai di tornare indietro.
Ma una mattina, seduto sul marciapiede, con le mani sporche di grasso,
mi dissi: — Se hai già perso tutto, non hai più nulla da temere. —
E ci provai di nuovo.
E fallii di nuovo.
E ricominciai.
Finché quel laboratorio non crebbe.
Diventò una piccola impresa.
La chiamai Hyundai.
— Chi si fiderebbe di un contadino per costruire automobili? — ridevano.
— Chi crede nell’impossibile — rispondevo.
Così nacque la Hyundai Pony, la prima automobile coreana.
Non era bella, né veloce… ma era nostra.
La gente la toccava come fosse un miracolo.
Alcuni piangevano. Anch’io.
Perché quella macchina non aveva solo ruote: aveva una storia.
Non sono mai andato all’università.
Nessuno mi ha insegnato finanza, meccanica o leadership.
Ho imparato con le mani, con gli errori, con la dignità.
— E se ti andasse di nuovo male? — mi chiedevano.
— Allora ricomincio da capo. —
Oggi molti conoscono il marchio.
Pochi conoscono la storia.
Io non ho avuto fortuna, né titoli, né un nome importante.
Ho avuto solo un’idea: che l’origine non definisce il destino.
E per questo te lo dico, con il cuore alto:
Se non hai soldi, ma hai coraggio… continua.
Se nessuno crede in te, ma tu sì… continua.
Perché a volte la vita non chiede altro:
un’anima che si rifiuta di arrendersi.
E se un giorno vedrai passare una Hyundai,
ricorda che una volta era solo il sogno
di un bambino senza scarpe.