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11/11/2025
SOCIAL FREEZINGCrioconservazione degli ovociti a scopo precauzionale (anche chiamata “social freezing”) è una pratica cl...
07/11/2025

SOCIAL FREEZING

Crioconservazione degli ovociti a scopo precauzionale (anche chiamata “social freezing”) è una pratica clinica che permette di preservare la fertilità in donne che devono o vogliono posticipare il desiderio di maternità.

Al momento, numerosi studi scientifici hanno preso in considerazione migliaia di casi e hanno accertato l’assoluta sicurezza della procedura e dei risultati, anche a distanza di tempo.

Chi può sottoporsi al social freezing?
Indicazioni mediche

Il trattamento deve essere consigliato alle pazienti che rischiano la perdita della funzionalità ovarica: donne con famigliarità per menopausa precoce, con diagnosi di tumore che devono sottoporsi a chemioterapia o radioterapia, con patologie autoimmuni che richiedono trattamenti gonadotossici, trapianti di midollo e donne che potrebbero necessitare di chirurgia ovarica demolitiva ripetuta (ex endometriosi).

Indicazioni “sociali”

Il trattamento è rivolto alle pazienti che per motivi personali e/o lavorativi decidono di ricercare una gravidanza più avanti nel tempo, quando potrebbero subentrare delle difficoltà nel concepimento naturale per riduzione della fertilità.

Quali sono le tecniche di preservazione della fertilità?
Congelamento ovocitario (vitrificazione): dopo una stimolazione ovarica gli ovociti maturi prelevati sono sottoposti a congelamento mediante la tecnica, ormai consolidata da anni di utilizzo, di vitrificazione. Gli ovociti verranno scongelati quando la paziente sarà pronta ad affrontare la gravidanza. La possibilità di gravidanza futura utilizzando gli ovociti crioconservati dipende dal numero e dalla qualità degli ovociti recuperati. In generale questi fattori sono dovuti all’età e alla riserva ovarica della paziente al momento della raccolta.
Congelamento di tessuto ovarico: mediante intervento chirurgico laparoscopico vengono prelevati frammenti di corticale ovarica. Questa tecnica che ha il vantaggio di non richiedere una stimolazione ormonale; è la tecnica di scelta nelle ragazze in età pre-puberale e nelle pazienti che devono iniziare immediatamente la chemioterapia senza possibilità di attendere il tempo necessario per la stimolazione ovarica.
Come si svolge la crioconservazione?
La crioconservazione è la fase finale di una procedura articolata che, eseguita prevalentemente in regime ambulatoriale, si conclude con il prelievo degli ovociti in regime di ricovero in Day Surgery e comprende:

Visita preliminare con raccolta anamnestica accurata e counselling specialistico.
Esami diagnostici preliminari tra cui il dosaggio ormonale per la valutazione della riserva ovarica ed ecografia transvaginale in fase mestruale con la misurazione della volumetria ovarica e la conta dei follicoli antrali.
Induzione e monitoraggio dell’ovulazione. La donna si somministra una terapia ormonale, mediante iniezioni sottocutanee, che consente la maturazione contemporanea di più follicoli. Si eseguono ecografie transvaginali seriate per valutare dimensione e numero dei follicoli e dosaggi ormonali di estradiolo plasmatico e progesterone.
Prelievo degli ovociti. Avviene per via transvaginale, sotto guida ecografica e in analgesia o in sedazione profonda.
Il “social freezing” è un trattamento doloroso e/o pericoloso?
La fase della stimolazione ovarica comporta gli effetti legati all’assunzione degli ormoni sintetici che vanno da una lieve ritenzione idrica a modesto dolore in sede annessiale. La sindrome da iperstimolazione ovarica è una condizione che si verifica raramente e consiste nell’aumento delle dimensioni delle ovaie in relazione ai vari gradi di stimolazione ovarica; può comportare il rigonfiamento dell’addome e l’alterazione di alcuni parametri emato-chimici con necessità, nei casi più gravi, di ricovero in ospedale (

Oggi parliamo dell'ATROFIA VULVO VAGINALE  (AVV)Nonostante l’ampia diffusione, questa patologia è ancora oggi sottostima...
15/10/2025

Oggi parliamo dell'ATROFIA VULVO VAGINALE (AVV)

Nonostante l’ampia diffusione, questa patologia è ancora oggi sottostimata e parlarne è fonte di imbarazzo per migliaia di donne.

Ha un’incidenza altissima, colpisce in Italia una donna su due dopo la menopausa e provoca sintomi come secchezza vaginale, prurito e dolore ai rapporti sessuali.

Questa patologia ha un forte impatto negativo sulla qualità di vita della donna.
Una malattia che, nonostante l’ampia diffusione, è ancora oggi decisamente sottostimata: il coinvolgimento delle parti intime provoca spesso disagio e vergogna nelle donne, che tendono quindi a trascurare questa patologia, con inevitabili conseguenze sia di salute che sulla vita di coppia. I percorsi terapeutici per la sua cura sono diversi: dai lubrificanti vaginali alla terapia estrogenica locale, sino ad un recente trattamento senza farmaci basato su strumenti in particolare il laser Co2.

Ma cos’è l’atrofia vulvo-vaginale?

L’AVV è una condizione cronica che tende a peggiorare nel tempo. Si caratterizza per l’assottigliamento della mucosa vaginale, con conseguente riduzione della vascolarizzazione, dell’elasticità e del grado di idratazione. Inoltre, si contraddistingue per un aumento del pH vaginale associato ad una riduzione dei lactobacilli, batteri buoni che proteggono la flora vaginale.


Quali sono i sintomi?

Le donne che soffrono di AVV presentano una serie di sintomi tipici della menopausa (Sindrome Genitourinaria della Menopausa): secchezza vaginale, prurito, dolore e sanguinamento nei rapporti sessuali che coinvolgono tutta l’area vulvo-vaginale. L’AVV interessa anche il tratto urinario inferiore: l’aumento della necessità e l’improvviso e irrefrenabile stimolo a urinare sono fra i sintomi più comuni, oltre a possibili infezioni che possono colpire tutta l’area genito-urinaria.

Che conseguenze può avere sulla vita di coppia?

L’AVV è una condizione che non solo peggiora la percezione fisica che la donna ha di sé stessa, ma è anche frequentemente associata a rapporti sessuali dolorosi (dispareunia). Ha quindi un forte impatto sulla vita relazionale, tanto che circa due terzi delle donne che soffrono di atrofia vulvo-vaginale evitano l’intimità con il partner proprio per questa ragione.

Nonostante sia estremamente diffusa, l’AVV è una patologia sottostimata perché coinvolge la sfera intima delle donne ed è percepita pertanto come un tema imbarazzante da trattare. Rappresenta fonte di grande disagio e vergogna, in particolare per le donne in età avanzata, alle quali risulta difficile parlarne persino con i medici di medicina generale.

Solitamente colpisce le donne in menopausa ma può colpire anche donne più giovani.

L’AVV è una patologia strettamente legata alla carenza di estrogeni, condizione che caratterizza la menopausa. Questa si può però manifestare precocemente, come conseguenza di particolari situazioni patologiche: raramente risulta legata a fattori genetici, ambientali o a stili di vita; più frequentemente è dovuta a cause iatrogene, ovvero indotta da cure mediche, chemioterapia, radioterapia o conseguenza di un intervento di asportazione delle ovaie (intervento chirurgico demolitivo di ovariectomia bilaterale).


L’AVV si presenta nel 70% delle pazienti con pregressa diagnosi di tumore al seno (ovvero il 20% in più rispetto alla popolazione sana) come effetto collaterale delle terapie oncologiche, che spesso includono anche trattamenti farmacologi endocrini responsabili della menopausa.

In questi casi Il Dott.Marsili si è sempre reso disponibile ad offrire alle Donne Oncologiche il trattamento laser a prezzi ridotti e spesso gratuitamente.

Vi invitiamo a prendere coscienza che non deve essere un tabù, che noi vi capiamo e che per ulteriori informazioni siamo disponibili come sempre.

Claudia 347 363 4867

22/09/2025

COME MUORE UN ANZIANO OGGI?
Muoiono in OSPEDALE.
Perché quando la nonna di 92 anni è un po’ pallida ed affaticata deve essere ricoverata. Una volta dentro poi, l’ospedale mette in atto ciecamente tutte le sue armi di tortura umanitaria. Iniziano i prelievi di sangue, le inevitabili fleboclisi, le radiografie.
“Come va la nonna, dottore?”. “E’ molto debole, è anemica!”.
Il giorno dopo della nonna ai nipoti già non gliene frega più niente!
Esattamente lo stesso motivo (non per tutti, sia chiaro!) per il quale da diversi anni è rinchiusa in casa di riposo.
“Come va l’anemia, dottore?”. “Che vi devo dire? Se non scopriamo la causa è difficile dire come potrà evolvere la situazione”.
“Ma voi cosa pensate?”. “Beh, potrebbe essere un’ ulcera o un tumore… dovremmo fare un’ endoscopia”.
Chi lavora in ospedale si è trovato moltissime volte in situazioni di questo tipo. Che senso ha sottoporre una attempata signora di 92 anni ad una gastroscopia? Che mi frega sapere se ha l’ulcera o il cancro? Perché deve morire con una diagnosi precisa? Ed inevitabilmente la gastroscopia viene fatta perché i nipoti vogliono poter dire a se stessi e a chiunque chieda notizie, di aver fatto di tutto per la nonna.
Certe volte comprendo la difficoltà e il disagio in certi ragionamenti.Talvolta no.
Dopo la gastroscopia finalmente sappiamo che la Signora ha solamente una piccola ulcera duodenale ed i familiari confessano che la settimana prima aveva mangiato fagioli con le cotiche e broccoli fritti, “…sa, è tanto golosa”.
A questo punto ormai l’ ospedale sta facendo la sua opera di devastazione. La vecchia perde il ritmo del giorno e della notte perché non è abituata a dormire in una camera con altre tre persone, non è abituata a vedere attorno a sé facce sempre diverse visto che ogni sei ore cambia il turno degli infermieri, non è abituata ad essere svegliata alle sei del mattino con una puntura sul sedere. Le notti diventano un incubo.
La vecchietta che era entrata in ospedale soltanto un po’ pallida ed affaticata, rinvigorita dalle trasfusioni e rincoglionita dall’ambiente, la notte è sveglia come un cocainomane. Parla alla vicina di letto chiamandola col nome della figlia, si rifà il letto dodici volte, chiede di parlare col direttore dell’albergo, chiede un avvocato perché detenuta senza motivo.
All’inizio le compagne di stanza ridono, ma alla terza notte minacciano il medico di guardia “…o le fate qualcosa per calmarla o noi la ammazziamo!”. Comincia quindi la somministrazione dei sedativi e la nonna viene finalmente messa a dormire.
“Come va la nonna, dottore? La vediamo molto giù, dorme sempre”.
Tutto questo continua fino a quando una notte (chissà perché in ospedale i vecchi muoiono quasi sempre di notte) la nonna dorme senza la puntura di Talofen.
“Dottore, la vecchina del 12 non respira più”.
Inizia la scena finale di una triste commedia che si recita tutte le notti in tanti nostri ospedali: un medico spettinato e sbadigliante (spesso il Rianimatore sollecitato di corsa per “fare di tutto”)scrive in cartella la consueta litania “assenza di attività cardiaca e respiratoria spontanea, si constata il decesso”.
La cartella clinica viene chiusa, gli esami del sangue però sono ottimi. L’ospedale ha fatto fino in fondo il suo dovere, la paziente è morta con ottimi valori di emocromo, azotemia ed elettroliti.
Cerco spesso di far capire ai familiari di questi poveri anziani che il ricovero in ospedale non serve e anzi è spesso causa di disagio e dolore per il paziente, che non ha senso voler curare una persona che è solamente arrivata alla fine della vita.
Che serve amore, vicinanza e dolcezza.
Vengo preso per cinico, per un medico che non vuole “curare” una persona solo perché è anziana. “E poi sa dottore, a casa abbiamo due bambini che fanno ancora le elementari non abbiamo piacere che vedano morire la nonna!”.
Ma perché?
Perché i bambini possono vedere in tv ammazzamenti, stupri, “carrambe” e non possono vedere morire la nonna? Io penso che la nonna vorrebbe tanto starsene nel lettone di casa sua, senza aghi nelle vene, senza sedativi che le bombardano il cervello, e chiudere gli occhi portando con sé per l’ultimo viaggio una lacrima dei figli, un sorriso dei nipoti e non il fragore di una scorreggia della vicina di letto.
In ultimo, per noi medici: ok, hanno sbagliato, ce l’hanno portata in ospedale, non ci sono posti letto, magari resterà in barella o in sedia per chissà quanto tempo. Ma le nonnine e i pazienti, anche quelli terminali, moribondi,non sono “rotture di scatole” delle 3 del mattino.
O forse lo sono. Ma è il nostro compito, la nostra missione portare rispetto e compassione verso il “fine vita”. Perché curare è anche questo, prendersi cura di qualcuno.Anche e soprattutto quando questo avviene in un freddo reparto nosocomiale e non sul letto di casa.

di Carlo Cascone

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04/07/2025

Ci sono veleni che assumi ogni giorno: a volte si chiamano mamma, a volte papà, a volte nonno e nonna. Ci sono veleni che, spesso, non sanno di essere veleni, ma hanno un effetto tossico su di noi. Il «non si può dire,» il «non sta bene», il «non adesso», il «non puoi capire». Questi veleni ci vengono iniettati giorno dopo giorno con l'educazione, con il ricatto, con la paura.

Ci sono veleni che fanno così tanto parte di te che non li riconosci per quello che che sono. Si chiamano inadeguatezza, il non sentirsi mai abbastanza, il senso di colpa, la paura dell'abbandono, l'amore da meritarsi, il dover essere diversi perché quel che si è non va mai bene. Ci sono veleni che non sappiamo di iniettare, perché non siamo consapevoli del loro potenziale tossico. E ci sono veleni che pensiamo di dover passare per forza, perché li hanno passati a noi.

E poi ci sono persone che sono antidoto e, per fortuna, anche queste a volte si chiamano mamma, papà, nonno o nonna. A volte si chiamano marito, moglie, fidanzato, amico, maestra, psicologo.... A volte non sappiamo neanche come chiamarli, ma sappiamo soltanto una cosa: che ci fanno stare bene. Sono queste le persone di cui dovremmo circondarci. E sono sempre queste le persone che dovremmo diventare.

Perché c'è chi ogni giorno sceglie d'essere un po' meno veleno, e sceglie di lavorare su se stesso come diceva Jung e di diventare, quando può, antidoto.

Nella foto: Carl Gustav Jung

04/07/2025

Le dipendenze: un legame con il non detto. Le dipendenze non sono semplicemente mancanza di volontà o cattiva abitudine. Sono un disperato tentativo dell'anima di riempire un vuoto, di sfuggire a un dolore non nominato o di mantenere una lealtà invisibile con la storia della famiglia. Ogni dipendenza ha un significato profondo, una radice che spesso non si vede ad occhio n**o, ma si sente in ogni ripetizione, in ogni ricaduta, in ogni impulso incontrollabile. Dicono che la parola dipendenza derivi da "non detto", da ciò che è rimasto intrappolato nella memoria del corpo e del sistema familiare. Un dolore irrisolto, un duello non elaborato, un amore mai arrivato. Cosa cerca di evitare chi cade in una dipendenza? Quale storia continua a risuonare nella sua vita senza che io possa fermarla? Le sostanze, le abitudini, le ossessioni... sono tutte manifestazioni di un bisogno più profondo. Droga (cocaina, ma*****na, eroina, ecc. ) cercano di disconnettersi da una realtà insopportabile, dimenticare una ferita del passato o rompere un legame con l'autorità che è stata vissuta come oppressiva. L'alcool soffoca la paura di sentire, il bisogno di evitare la vita, il dolore di una madre assente o un amore che non ha potuto sostenere. Il tabacco cerca di riempire un vuoto materno, di colmare la mancanza di contatto emotivo o di generare un momento di calma. Zucchero e cioccolato cercano di compensare l'assenza di amore e tenerezza, la fame di dolcezza che l'infanzia non ha potuto saziare. Il sesso senza coscienza sostituisce la connessione reale con una costante ricerca fisica, confondendo desiderio con amore. Il lavoro eccessivo è una corsa senza fine per dimostrare valore, per sentire che basta in un mondo dove la produttività vale più della vita stessa. L'esercizio compulsivo cerca di scolpire un corpo che forse non sarà mai abbastanza per chi non accetta se stesso. Gli acquisti compulsivi riempiono carrelli vuoti come chi cerca di riempire il vuoto interiore con oggetti che non saranno mai abbastanza. Le relazioni tossiche e la dipendenza emotiva riflettono la lotta per trattenere l'amore, per non essere abbandonato, per non rivivere una ferita già troppo grande in passato. L'ossessione per il controllo è la paura dell'incertezza, il tentativo di sostenere la vita con forza per non cadere nel caos. L'attaccamento alla sofferenza, al dramma o alla tristezza sono spesso una lealtà inconscia verso un destino familiare dove il dolore era l'unico modo di appartenersi. Ogni dipendenza è un messaggio nascosto. Non si tratta solo di lasciarla, controllarla o sostituirla con un'altra. Si tratta di guardare la sua radice, di chiedersi con coraggio quale vuoto sta cercando di riempire e di riconoscere la storia che la sostiene. Guarire una dipendenza non è una battaglia contro l'impulso, è un processo di riconciliazione con il passato, un atto d'amore verso se stessi e un permesso di vivere senza catene. Perché solo quando capiamo che ciò che cerchiamo fuori non potrà mai riempire ciò che manca dentro, possiamo finalmente trovare la pace che tanto desideriamo.

01/07/2025

Siamo chiusi per ferie,torniamo lunedì 7,per urgenze rivolgetevi ai numeri privati.

01/07/2025

Coma ≠ Morte cerebrale.
E questa immagine lo spiega senza bisogno di parole.

🔹 A sinistra: un cervello in coma.
🧠 L’attività elettrica è alterata, ma il sangue continua a scorrere.
Il corpo lotta. La vita pulsa. C’è speranza.

🔹 A destra: un cervello in morte cerebrale.
🧠 Niente circolazione. Niente ossigeno. Nessuna attività. Solo silenzio.
È il punto di non ritorno.

Perché è importante capire la differenza?
Perché il coma è uno stato profondo, ma reversibile.
La morte cerebrale, invece, è irreversibile. È la fine della funzione neurologica.
E troppe famiglie, nella confusione, continuano a sperare… senza sapere che il loro caro, in realtà, non c’è più.

📌 La morte cerebrale è l’unica condizione in cui, per legge, si può dichiarare il decesso anche con il supporto vitale ancora attivo.
📌 È anche il momento in cui la vita può continuare… attraverso la donazione degli organi.

Capire tutto questo fa male. Ma è necessario.
Perché la scienza non serve solo a spiegare…
Serve anche a decidere. Con amore. Con dignità. Con chiarezza.

🧠 Il cervello non si vede.
Ma quando si ferma… l’immagine parla da sola.

Una attende.
L’altra… è già andata via.

01/07/2025

Nel silenzio di un laboratorio giapponese, un gruppo di cellule ha cambiato comportamento. Non per mutazione naturale, ma perché un intero cromosoma è stato rimosso con precisione chirurgica.

Un’équipe della Mie University ha usato CRISPR-Cas9 per eliminare la copia in eccesso del cromosoma 21, la causa genetica della sindrome di Down. Il risultato? Le cellule hanno ripreso a proliferare con regolarità, mostrando un’espressione genica normalizzata e minori segnali di stress ossidativo.

La tecnica ha funzionato sia in cellule staminali pluripotenti che in fibroblasti cutanei, confermando la sua efficacia su tipi cellulari diversi. È la prima volta che un intervento genetico elimina in modo mirato un cromosoma intero, non solo un segmento di DNA.

La ricerca non è ancora applicabile in ambito clinico, ma rappresenta un passo senza precedenti nell’editing cromosomico. Un nuovo orizzonte si apre per lo studio delle anomalie genetiche e per la medicina rigenerativa.

Indirizzo

Viareggio
55049

Orario di apertura

Lunedì 10:00 - 13:00
15:30 - 19:30
Martedì 10:00 - 13:00
15:30 - 19:30
Mercoledì 10:00 - 13:00
15:30 - 19:30
Giovedì 10:00 - 13:00
15:30 - 19:30
Venerdì 10:00 - 13:00
15:30 - 19:30

Telefono

+393473634867

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