27/11/2023
In questi giorni di manifestazioni contro la violenza sulle donne vedo ondate di persone indossare dettagli rossi.
Riconosco cappelli, sciarpe, ma soprattutto fiocchetti.
Ma nella marea però si perdono le storie.
Quelle storie che ascolto ogni giorno, e sono storie di violenze.
Parliamo di femminicidio, ma forse dovremmo parlare di violenze sessuali, soprusi, intidimidazioni.
Forse vi dovrei raccontare quanto è doloroso vedere una persona che improvvisamente comprende di essere stata vittima. Quando il suo cervello fa click e si sorprende nel riconoscere che ciò che è accaduto non doveva accadere. E poi stare insieme, in quella consapevolezza dolorosa e spesso inerme.
Francamente non ne posso più. Sono stanca di erigermi tra questi fiori rossi.
Perché in questa marea ci sono anche io, con le mie storie. Come quando tornando dalla biblioteca sono stata inseguita fino a casa da un uomo in macchina che si masturbava. Mio padre aveva preso il numero di targa, ma non ci hanno fatto fare nessuna denuncia, solo una segnalazione.
O del fatto che pago una segreteria perché nel 2020 ho bloccato 120 numeri di molestatori sessuali che chiamavano al cellulare di lavoro. Ho smesso di rispondere ad ogni numero sconosciuto. I colleghi hanno commentato che se i numeri erano così tanti allora forse me l'ero cercata.
O di quando un professore davanti alla sua classe quarta professionale (tutti maschi) mi ha chiesto se le ore di "educazione contro la violenza di genere" dovessero rientrare nella categoria "orale", dato il mio lavoro.
E così via e così via e così via e così via...