02/11/2025
QUELLO CHE DEVI SAPERE SULL'ERITRITOLO
Guardo una ricetta e vedo la ragazza con sorriso smagliante e con gli occhi angelici che rovescia una tazza piena di eritritolo come se non ci fosse un domani.
Li vedi online, con la cucina patinata, il sorriso a trentadue denti, promuovendo la torta salutare (a detta loro) senza zucchero e quella frase che ormai è un tormentone: “Dolcificato naturalmente con eritritolo”.
Naturalmente… come no.
Perché se questo è naturale, allora anche il parquet laminato è legno vivo, scusate ma ogni tanto un po' di ironia ci vuole.
Ma per chi ancora non lo sapesse, cos’è davvero l’eritritolo?
L’eritritolo è un poliolo, cioè un alcol dello zucchero. Non contiene alcol etilico, ma è una molecola simile al glucosio, solo che il corpo non riesce a metabolizzarla. Ha un potere dolcificante pari a circa il settanta per cento dello zucchero da tavola, con zero calorie perché non viene trasformato in energia, viene assorbito in parte e poi eliminato per via renale quasi intatto.
E qui inizia la favola moderna del dolce senza peccato. Zero zucchero, zero calorie, zero sensi di colpa. Solo che, come in ogni favola, anche qui il lupo si è travestito da nonna.
Quello che nessuno racconta è come nasce l’eritritolo che trovi nei dolcificanti e nei prodotti fit. Perché sì, esiste in natura in piccolissime quantità, nella frutta, nel vino, nella birra, ma parliamo di tracce.
Quello usato nelle ricette o nei dolcificanti da supermercato è tutt’altra storia, viene prodotto industrialmente attraverso processi di fermentazione e purificazione chimica.
Il punto di partenza è quasi sempre l’amido di mais (spesso OGM). L’amido viene prima scisso con enzimi o acidi per ottenere glucosio puro, poi fermentato da microrganismi come funghi o lieviti (Moniliella pollinis, Yarrowia lipolytica, ecc.), che producono eritriolo come sottoprodotto. Una volta terminata la fermentazione, la miscela va ripulita:
- Filtrazione,
- Decolorazione
- Passaggi su resine a scambio ionico (rigenerate con acidi e basi),
- Ultrafiltrazione, evaporazione e cristallizzazione per ottenere la polvere bianca finale.
Insomma, non è frutto di una pianta spremuta, ma di una lunga catena biochimica-industriale. È quindi a tutti gli effetti un dolcificante industriale raffinato, anche se parte da una base naturale.
Dire che è naturale solo perché deriva da un processo di fermentazione biologica è come dire che la plastica è naturale perché nasce dal petrolio. Un conto è la sostanza originaria, un altro è il risultato finale dopo tutti i trattamenti.
L’eritriolo non alza la glicemia e non stimola direttamente l’insulina. Ma il cervello, poverino, non lo sa. Quando percepisce il gusto dolce, si prepara all’arrivo del glucosio. Aspetta energia, ricompensa, nutrimento. Solo che quel glucosio non arriva mai.
Questo crea una discrepanza... il gusto dolce c’è, ma la soddisfazione metabolica no. Il sistema dopaminico resta a metà, e il corpo cerca di compensare aumentando la fame di dolce.
Così, invece di ridurre il desiderio, i dolcificanti lo alimentano. Ecco perché chi li usa spesso non riesce a staccarsi dal dolce, il cervello continua a cercare quella gratificazione energetica che non arriva mai.
Sul lungo periodo, questa abitudine può anche disturbare la regolazione dell’appetito e ridurre la sensibilità insulinica. In pratica, più usi dolcificanti senza zucchero, più rischi di comportarti come se lo zucchero lo stessi comunque mangiando.
E poi c’è l’intestino, il vero campo di battaglia di questa storia. I polioli come eritriolo, xilitolo, maltitolo e sorbitolo vengono assorbiti solo in parte. Quello che resta nell’intestino richiama acqua e fermenta, con effetti che vanno dal meteorismo al gonfiore fino a episodi diarroici.
L’eritriotlo è tra i più tollerati, ma solo in piccole dosi. Quando si parla di due tazze per una torta fit, il rischio di disturbi intestinali aumenta notevolmente, soprattutto se c’è già una disbiosi o una mucosa infiammata.
E attenzione, anche se non fermenta come altri polioli, il suo assorbimento e la sua eliminazione richiedono comunque un lavoro ai reni. Non è neutro. È semplicemente incompleto... entra, non viene usato, e deve essere smaltito.
Il problema è che in chi ha un microbiota alterato, l’eritriolo può modificare la flora intestinale nel tempo. E un intestino alterato non significa solo pancia gonfia, significa infiammazione sistemica, neurotrasmettitori fuori equilibrio, umore che cambia.
C’è un errore culturale profondo dietro queste ricette fit, l’idea che basti sostituire lo zucchero per rendere un alimento salutare... ma non è così.
Il problema non è solo lo zucchero in sé, ma la dipendenza dal sapore dolce, dal bisogno costante di gratificazione immediata.
Finché cerchiamo dolcezza artificiale, restiamo legati alla stessa catena. Il cervello non si disintossica, il gusto non si rieduca, e il corpo resta in uno stato di stimolazione dopaminica continua.
E quando la dopamina si abbassa, il corpo cerca di nuovo la dose, un dolcificante, una torta, una bevanda zero.
Non stiamo guarendo il rapporto col cibo, lo stiamo mascherando.
Uno studio pubblicato nel 2023 su Nature Medicine ha sollevato dubbi interessanti... livelli elevati di eritriolo nel sangue sono stati associati a un rischio maggiore di eventi cardlovascoIari, come tr0mbosi e inf4rto. Sembra che l’eritriolo possa aumentare l’attivazione piastrinica, favorendo la coagulazione.
Non è una prova di causalità, ma è un campanello d’allarme, soprattutto per chi lo consuma quotidianamente in quantità importanti perche crede di mangiare una torta fit.
In più, il fatto che sia eliminato quasi completamente dai reni fa pensare, in soggetti predisposti o con insufficienza renale, è davvero una buona idea caricare l’organismo di un composto che deve essere smaltito interamente come scarto?
Come sempre, è la dose che fa la differenza. Un pizzico di eritritolo nel caffè ogni tanto, in una persona sana, non è un problema. Ma quando diventa una base fissa, al posto del miele, dello zucchero integrale o della frutta, cambia tutto.
Perché non nutre, non educa, e soprattutto mantiene viva una dipendenza sensoriale.
Alla lunga, l’eritritolo può diventare un modo per tenere in piedi una cattiva abitudine, solo con un travestimento più elegante.
Il punto non è dolcificare meglio, ma dolcificare meno. La vera rivoluzione non è trovare il dolcificante perfetto. È smettere di avere bisogno di dolcificare tutto.
Riscoprire la dolcezza naturale di un cibo intero, di una mela matura, di una zucca al forno, di un dattero vero. Educare il palato, riabituare il cervello a percepire la dolcezza autentica del cibo, non quella simulata.
E smettere di credere che ogni sostituto zero calorie sia un passo verso la salute. Perché spesso è solo un modo più moderno di restare nello stesso schema.
L’eritritolo non è il diavoIo, ma non è nemmeno il santo che molti vogliono farci credere. È un prodotto fermentato e purificato industrialmente, nato da amido di mais o grano, passato attraverso processi di filtrazione, decolorazione e cristallizzazione.
Rientra a pieno titolo nei dolcificanti industriali raffinati, non nei cibi naturali. Non fornisce nutrienti, non educa il palato, e a dosi elevate può disturbare il sistema intestinale e nervoso.
Quindi sì, quelli che nelle ricette mettono tazzate di eritriolo probabilmente non fanno un lavoro sulla salute. Fanno marketing e dai loro video è palese. E confondono le persone, con la parola naturale messa nel posto sbagliato per qualche Iike in più.
Perché la vera dolcezza, quella che fa bene davvero, non si misura in cucchiai… ma in consapevolezza.
XO - Patrizia Coffaro