10/11/2025
Su questo tema l'Italia è in ritardo. Non solo per la presenza di venti retrogradi, ma anche perchè non esiste una diffusione capillare del concetti di depressione maggiore, e non abbiamo ancora compreso l'unità del desiderio del soggetto di scegliere.
Quale è la posizione etica da assumere nei confronti dei pazienti affetti da depressione intrattabile, quella melanconia profonda e strutturale, che consegna la loro vita ad una perenne posizione di oggetto scarto, ai margini della vita, in una costante ricerca di un posto nell’Altro che possa supplire a quel dato strutturale che fa del melanconico un esempio di vita priva di orizzonte: essere fuori squadra come dato costituivo, intrappolato in un cono d’ombra dell’esistenza che rende impossibile l’integrarsi col l’Altro. Ne trattai ampiamente in questa rubrica[1], quando ebbi modo di esporre al Congresso Europeo di psichiatria i dati modenesi del cosiddetto ‘suicido economico’, mostrando quel che la clinica mi ha indicato, vale a dire la posizione pericolosa che soggetti di questo tipo occupano in tempo di crisi e licenziamenti, della degradazione dell’uomo a cosa, evento letale per il melanconico.
Ho tratto spunto da diversi casi di cronaca, e da alcuni casi di pazienti visti in studio. Che fare quando ll desiderio, la scelta del soggetto, vira inequivocabilmente sul fine corsa? Quando il solo sollievo per pazienti di tal tipo è la cessazione di una vita per la quale essi stessi si sentono ‘inadatti’?
Abbiamo discusso attorno a questi casi. I quotidiani riportano che
L
Lucio Magri soffriva di una depressione totalizzante. Un lento scivolare nel buio provocato da un intreccio di ragioni, pubbliche e private. Sul fallimento politico – conclamato, evidentissimo – s'era innestato il dolore privato per la perdita di una moglie molto amata, Mara, che era il suo filtro con il mondo. Magri scelse di chiamarsi fuori scegliendo una modalità alla quale diversi pazienti fanno un crescente ricorso: la clinica svizzera ove è praticato il suicidio assistito.
Dopo diversi sopralluoghi, si fece accompagnare laddove si separò da una vita che non voleva piu’.
Virgina Wolf scrive al marito:
Carissimo,
sento con certezza che sto per impazzire di nuovo. Sento che non possiamo attraversare ancora un altro di quei terribili periodi. E questa volta non ce la farò a riprendermi. Comincio a sentire le voci, non riesco a concentrarmi. Così faccio la cosa che mi sembra migliore. Mi hai dato la più grande felicità possibile. Sei stato in ogni senso per me tutto ciò che una persona può essere. Non credo che due persone avrebbero potute essere più felici, finché non è sopraggiunto questo terribile male. Non riesco più a combattere. Lo so che sto rovinando la tua vita, che senza di me tu potresti lavorare. E lo farai, lo so. Vedi, non riesco nemmeno a esprimermi bene. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo a te tutta la felicità che ho avuto nella mia vita. Hai avuto con me un’infinita pazienza, sei stato incredibilmente buono. Voglio dirti che – lo sanno tutti. Se qualcuno avesse potuto salvarmi questo qualcuno eri tu. Tutto se ne è andato via da me, tranne la certezza della tua bontà. Non posso più continuare a rovinarti la vita.
Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto lo siamo stati noi.
Questi casi rimandano al dilemma illustrato da E. F. Wallace, quando scrive :
‘ La persona che ha una così detta "depressione psicotica" e cerca di uccidersi lo fa "per sfiducia" o per qualche altra convinzione astratta che il dare e avere nella vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l'invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Qui la variabile è l'altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme. Eppure nessuno di quelli instrada che guardano in su e urlano "No!" e "Aspetta!" riesce a capire il salto. Dovresti essere stato intrappolato anche tu e aver sentito le fiamme, per capire davvero un terrore molto peggiore di quello della caduta”
Su questo tema ho confessato l’incrinatura delle mie certezze. La mia debolezza, il mio non sapere. Sento in tanti pazienti il raggiungimento di quella soglia di cui parla Lacan quando dice: ‘ Quanta ne potete sopportare di angoscia?’. E lo dico a fronte di anni passati a ricevere persone, anni nel corso dei quali ho maturato la convinzione che non tutte le vite siano degne di essere vissute. Da un lato ho la certezza della mia posizione professionale che mi porta a non arretrare mai davanti al buio, certo che la posizione etica dell’analista non deve mai ve**re meno di fronte al depresso grave, attraverso la presenza fisica, la voce, la reperibilità, la disponibilità all’ascolto. ( io che vidi un ‘terapeuta’ liberarsi di me ai primi accenni di insorgenza del buio,. so cosa significhi). Ma dall’altro come uomo ho esaurito le mie residue certezze. E vorrei che il legislatore, nel tempo, prendesse atto dello strazio dei viaggi all’estero di chi ha scelto che può bastare cos
I media belgi stanno raccontando la drammatica storia di una ragazza fiamminga che dalla preadolescenza accusa gravi sintomi depressivi e ha più volte te...