Carla Fiorenza Fisioterapista

Carla Fiorenza Fisioterapista Fisioterapia, Riabilitazione

c/o EOSPA

Massoterapia terapeutica o preventiva
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riabilitazione post-chirurgica
riabilitazione protesi
riabilitazione sportiva
riabilitazione propriocettiva

07/11/2025

Tutti pensano che il gomito sia solo una cerniera.

Falso.

È un diplomatico che ogni giorno media tra due mondi in guerra: la forza della spalla e la precisione della mano.

Guarda l’immagine. Dentro quel piccolo incastro tra omero, radio e ulna si nasconde una delle meccaniche più intelligenti del corpo. Ogni volta che prendi un bicchiere, digiti sul telefono o tiri una palla, il gomito deve stabilizzare come una spalla, ruotare come un polso, e farlo senza mai lamentarsi.

Eppure basta una piccola perdita di equilibrio (una spalla rigida, un polso bloccato, un computer usato troppo) e il gomito comincia a protestare con un messaggio chiaro: dolore laterale o mediale, le classiche tendinopatie laterali (LET) o mediali (MET) del gomito.

Per chi non è del mestiere. Il dolore al gomito non è un problema locale. È un effetto collaterale di un sistema che ha perso coordinazione. Se la spalla non accompagna e il polso non segue, il gomito resta nel mezzo.. e paga il conto.

Per i colleghi clinici: articolazione omero-ulnare (trocleare), radio-omerale, radio-ulnare prossimale: sinergia di flesso-estensione e prono-supinazione. Stabilità statica e dinamica sostenuta dal complesso collaterale mediale (UCL) e laterale (LCL), dal legamento anulare, dalla capsula anteriore e dal contributo dei muscoli stabilizzatori.

Pattern frequente: deficit di controllo scapolare e overuse estensorio che portano ad una LET, con coinvolgimento tipico dell’ECRB.

Pattern opposto (meno frequente): scarsa coordinazione scapolare e crollo del polso in flessione/ulnardeviazione con aumento della tensione nei flessori-pronatori che porta ad una MET.

Approccio consigliato: de-tensioning scapolo-omerale, ripristino della rotazione radio-ulnare, rieducazione neuromotoria fine distale e carico progressivo specifico su estensori o flessori-pronatori, con progressione calibrata sul quadro clinico.

E quindi?

Non rinforzare solo l’avambraccio.
Rieduca la catena: spalla–gomito–mano.
Perché il dolore al gomito non nasce dalla debolezza.. ma dalla disconnessione.

“Il gomito non cede perché è fragile.
Cede perché è rimasto solo a mediare una guerra tra spalla e mano.”

Fai questo test: stendi il braccio, ruota lentamente il palmo in su e poi in giù.
Dove senti la tensione? Verso il polso? Verso la spalla? Proprio sul gomito?

Il gomito non ti tradisce.
Si stanca solo di fare da paciere tra due estremi che non si parlano più.

Post divulgativo a scopo educativo.
Non sostituisce la valutazione fisioterapica personalizzata.

06/11/2025

🎉 È di nuovo giovedì! Benvenuti ad un nuovo episodio di “Muscolandia: esplorando la mappa dei muscoli!” 🎉

Oggi parliamo di un muscolo profondo, silenzioso, ma potentissimo. Non lo vediamo mai.. ma se smette di fare il suo lavoro, la nostra schiena lo sa eccome: il multifido!

Dettagli anatomici

Il multifido fa parte della muscolatura profonda paravertebrale e rientra nel gruppo dei muscoli trasversospinali.

Origina dal sacro, dalla cresta iliaca posteriore, dai legamenti sacroiliaci posteriori, dalla capsula articolare delle faccette lombari e dai processi trasversi delle vertebre lombari, toraciche e cervicali (C4–C7).

Si inserisce sui processi spinosi delle vertebre situate da due a quattro livelli sopra l’origine, arrivando fino all’asse (C2).

Innervazione: rami posteriori dei nervi spinali (da cervicale a sacrale).

Funzioni principali

Il multifido ha un compito nobile e costante: stabilizzazione segmentale della colonna vertebrale, controllo fine dei micro-movimenti vertebrali, estensione e rotazione controlaterale del rachide (azione monolaterale), mantenimento della lordosi fisiologica lombare.

È anche un muscolo di attivazione anticipatoria (feedforward): si attiva prima del movimento degli arti per stabilizzare il rachide e prevenire microinstabilità.

In altre parole: lavora prima che ce ne accorgiamo.

Tipi di dolore

Il multifido è spesso “spento” più che dolorante. Quando non funziona correttamente, la schiena perde la sua stabilità segmentale e altri muscoli (come psoas, quadrato dei lombi o erettori spinali) devono compensare, creando rigidità e dolore.

È spesso coinvolto in lombalgia cronica e instabilità funzionale lombare, disfunzioni posturali dovute a debolezza o asimmetria, inibizione riflessa dopo un episodio acuto (es. colpo della strega). Ma anche in atrofia selettiva post-dolore (visibile anche all’ecografia muscolare) e ridotto controllo motorio in pazienti con dolore recidivante.

Spesso non fa male di per sé, ma se non lavora quando serve, crea instabilità e sovraccarichi altrove (come nel quadrato dei lombi, psoas, o erettori spinali).

Funzione quotidiana

Il multifido non spinge e non tira. Stabilizza. Lavora sempre dietro le quinte per mantenere l’equilibrio in piedi o seduto, coordinare ogni piegamento o torsione del busto, sostenere il rachide nei movimenti degli arti (soprattutto in appoggio monopodalico) e proteggere la schiena in ogni gesto quotidiano (dallo spazzare al sollevare una borsa).

È un sorvegliante silenzioso della colonna.

Il multifido è anche un muscolo antigravitazionale, ma non nel senso classico dei grandi estensori che “spingono” il corpo verso l’alto. La sua forza è silenziosa e segmentale: agisce in profondità per mantenere ogni vertebra al suo posto, impedendo alla colonna di collassare sotto il peso del corpo.

Mentre i glutei e i polpacci lavorano per tenerti in piedi, il multifido mantiene l’assetto fine del rachide, assicurando che testa, tronco e bacino restino allineati anche nelle micro-variazioni posturali.

Fa parte della rete tonica antigravitazionale profonda, insieme al trasverso dell’addome, al diaframma e al pavimento pelvico. Quando questa squadra funziona in sinergia, la postura è stabile, dinamica e leggera. Quando il multifido “si spegne”, invece, la stabilità viene delegata ai muscoli superficiali e il risultato è una rigidità compensatoria che spesso sfocia in dolore lombare o fatica posturale.

In poche parole: non solleva il corpo dalla gravità.. ma impedisce alla gravità di schiacciarlo.

Esercizio di attivazione (Contrazione segmentale in quadrupedia)

1. Mettiti in quadrupedia (mani sotto le spalle, ginocchia sotto le anche)
2. Mantieni la schiena neutra, senza muoverla
3. Solleva lentamente un braccio o una gamba, mantenendo l’asse stabile
4. Ripeti per 10-12 volte, alternando lato e arto

Allena il multifido senza carico e in controllo, riattivandolo dopo inibizione da dolore. Il movimento deve essere minimo, più percepito che visibile. Puoi anche appoggiare due dita vicino ai processi spinosi per sentire il muscolo che “si accende”.

Esercizio di rinforzo (Bird-dog dinamico)

1. In quadrupedia, estendi simultaneamente un braccio e la gamba opposta
2. Mantieni per 5 secondi cercando di non muovere la colonna
3. Torna lentamente e cambia lato
4. Esegui 3 serie da 8 ripetizioni per lato

Rinforza il multifido in sinergia con altri stabilizzatori del core (trasverso, obliqui, pavimento pelvico).

🔬 Curiosità scientifica

Il multifido è uno dei pochi muscoli visibili all’ecografia dinamica, utile per valutare simmetria e reale attivazione. Oggi viene anche usato in biofeedback attivo: il paziente osserva in tempo reale la contrazione sullo schermo, imparando a reclutarlo consapevolmente.

Studi di imaging mostrano che, nei pazienti con lombalgia cronica, il multifido si atrofizza rapidamente e selettivamente, inibito da una strategia protettiva del sistema nervoso.

Solo esercizi di attivazione mirata e progressiva permettono di recuperare la funzione stabilizzatrice originaria.

Conclusione

Il multifido non fa scena.. ma fa la differenza.
È il guardiano della colonna, il freno a mano segmentale, la base invisibile del nostro equilibrio. Ignorarlo significa sottovalutare l’origine di molte lombalgie.

Allenarlo significa stabilità, controllo e prevenzione.

Ci vediamo giovedì prossimo per un nuovo episodio di “Muscolandia”.. dove anche i muscoli più piccoli, fanno cose giganti! 😁

04/11/2025

Finalmente è martedì! Benvenuti a un nuovo episodio di “Neurolandia: il sistema nervoso come non lo avete mai visto!”

Oggi ci occupiamo di un nervo che.. fa respirare! Letteralmente.

È il nervo frenico, il vero “direttore d’orchestra” del diaframma, quel muscolo tanto amato dai fisioterapisti (e anche dai polmoni). Senza di lui, il respiro si ferma. Ma spesso non lo conosce quasi nessuno.

Preparati a un tuffo nel torace.. e a scoprire un nervo più vitale di quanto pensi.

Dove sta?

Il nervo frenico nasce dal plesso cervicale, più precisamente dalle radici spinali C3, C4 e C5 (ricordino utile: “C3, 4, 5 keep the diaphragm alive”).

Decorre anteriormente al muscolo scaleno anteriore, nel collo; scende verso il torace, attraversando lo sbocco superiore del torace. Entra nel mediastino, passa davanti all’ilo polmonare e raggiunge il diaframma, dove si divide in rami terminali.

Ha due nervi simmetrici (destro e sinistro), ma con decorso leggermente diverso per via della posizione del cuore e del fegato.

Che cosa fa?

Il nervo frenico è prevalentemente motorio, con qualche ramo sensitivo. Controlla il diaframma, principale muscolo della respirazione. Invia segnali motori per ogni inspirazione attiva. I rami sensitivi innervano pleura, pericardio, peritoneo diaframmatico e capsula epatica (in parte).

Senza il suo comando, il diaframma non si muove: addio respiro spontaneo.

Come si lamenta?

Una lesione o irritazione del nervo frenico può causare paralisi diaframmatica (monolaterale o bilaterale), difficoltà respiratoria (dispnea soprattutto da sdraiati), singhiozzo persistente (spasmo riflesso del nervo), dolore riferito alla spalla o al collo (per via dell’origine cervicale e dell’innervazione della pleura).

Attenzione: il dolore diaframmatico può “ingannare” e sembrare un dolore cervicale o scapolare.

Ruolo nella vita quotidiana

Ogni tuo respiro passa da lui. Anche adesso, mentre leggi. Quando respiri profondamente, sbadigli, tossisci, fai un esercizio diaframmatico o ti emozioni.. il nervo frenico è lì, al lavoro.

E quando è disturbato, ogni movimento toracico può diventare faticoso.

Patologie e disfunzioni

Paralisi del diaframma per trauma, chirurgia toracica, patologie neurologiche (es. sclerosi laterale amiotrofica) ma anche irritazione da processi infiammatori (pleurite, pericardite, subfrenite), compressione cervicale (ernie, spondilosi, traumi a livello C3–C5) e singhiozzo cronico per irritazione riflessa.

Curiosità neurologica

Il nervo frenico può essere stimolato manualmente in alcuni approcci fisioterapici per facilitare la respirazione diaframmatica, specialmente dopo interventi chirurgici toracici o in riabilitazione post-COVID.

E.. il singhiozzo è un’aritmia respiratoria causata proprio da scariche involontarie del frenico!

Approccio fisioterapico

Il lavoro sul nervo frenico può essere indiretto ma efficace, attraverso la rieducazione respiratoria (respirazione diaframmatica guidata), alcune tecniche manuali di mobilizzazione toracica e viscerale, il trattamento della cervicale alta (zona di origine del nervo) mobilità del torace e del diaframma post-chirurgica e anche lavorando sullo psoas, con cui condivide stretti rapporti fasciali.

In caso di paralisi monolaterale, si lavora sul compenso respiratorio e sulla postura globale.

Conclusione

Il nervo frenico non si vede.. ma si sente, eccome se si sente! Ogni respiro è un suo piccolo capolavoro.

Se un giorno il respiro ti sembra più corto o fatichi a inspirare profondamente, forse il nervo frenico ti sta chiedendo attenzione. Non ignorarlo.

Respira, ascolta, rallenta.

Ci vediamo martedì prossimo su Neurolandia.. perché quando i nervi parlano, noi impariamo ad ascoltarli. 🤗

Nota bene

Anche se a Neurolandia i nervi parlano.. la diagnosi medica la fa il medico. Quindi, se i sintomi ti fanno compagnia da troppo tempo, ascolta i segnali e confrontati con un neurologo o uno specialista medico. Noi siamo qui per spiegarti come funzionano le cose, ma la cura parte sempre da una valutazione sanitaria. E spesso, il fisioterapista è proprio il primo professionista sanitario a intercettare quei segnali e indirizzare nel modo giusto. 👏

03/11/2025

È lunedì, ed eccoci di nuovo con “Anatomia Spassosa: esploriamo il corpo umano con un sorriso!” 😄

Oggi parliamo di una struttura spesso dimenticata, ma che in realtà lavora come una vera cinghia di trasmissione: il lacerto fibroso!

Non è un osso, non è un tendine.. e nemmeno un legamento. Il lacerto fibroso, chiamato anche aponeurosi bicipitale, è una espansione fibrosa del tendine del bicipite brachiale che si allarga come un ventaglio e si perde nella fascia dell’avambraccio.

È come il fiocco che chiude bene il pacco regalo del bicipite: discreto, ma indispensabile!

Cos’è e dov’è?

Origina dal tendine distale del bicipite brachiale e si irradia medialmente verso la fascia antibrachiale. Passa sopra l’arteria e il nervo mediano, facendo un po’ da “copertura protettiva”

Lo trovi quindi nel gomito, subito sotto la piega del braccio.

A cosa serve?

Distribuisce la forza del bicipite non solo sul radio (dove si inserisce il tendine principale), ma anche sulla fascia dell’avambraccio. Stabilizza e rinforza la fascia antibrachiale, proteggendo le strutture vascolari e nervose del gomito.

È un po’ come una cinghia di sicurezza che tiene in ordine muscoli e vasi della piega del gomito.

Funzionamento buffo

Immagina il bicipite come un supereroe che lancia un raggio laser.. ma prima di colpire, allarga un mantello che copre e difende chi sta sotto.
Quel mantello è il lacerto fibroso! 😅

Curiosità scientifica

In anatomia chirurgica, è un punto di repere fondamentale: per esempio nelle operazioni per sindrome del lacerto fibroso, dove può comprimere il nervo mediano o l’arteria brachiale.

In alcuni casi, se molto spesso, può dare sintomi simili alla sindrome del tunnel carpale, ma localizzati al gomito!

Viene sempre citato quando si parla di flogosi del bicipite o nei casi di compressione vascolare in piega cubitale.

Nella vita di tutti i giorni

Anche se non lo sai, il tuo lacerto fibroso lavora quando sollevi la spesa, fai trazioni o flessioni sulle braccia, pieghi il gomito stringendo qualcosa con forza.

Parole complicate, spiegate semplici

Aponeurosi: una lamina fibrosa larga e piatta, diversa da un tendine stretto.

Bicipite brachiale: il muscolo del “pallottolone” sul braccio.

Fascia antibrachiale: il tessuto che avvolge i muscoli dell’avambraccio.

Compressione neurovascolare: quando un tessuto schiaccia nervi e vasi.

Come può soffrire?

Ispessimento del lacerto, con una compressione del nervo mediano o dell’arteria brachiale. Sindrome del lacerto fibroso, con dolore e formicolio al gomito e all’avambraccio, e traumi o tensioni del bicipite con infiammazioni trasmesse anche al lacerto.

Momento educativo leggero

Quando alleni il bicipite, ricorda che non lavora solo lui: il lacerto fibroso trasmette forze anche all’avambraccio. Stretching e rinforzo equilibrato riducono il rischio di compressioni. Se senti formicolio o dolore in piega di gomito, non sempre è “solo tendinite”: potrebbe esserci di mezzo anche lui!

Conclusione

Il lacerto fibroso è come una fascetta zip: piccola, nascosta, ma senza di lei il pacco del bicipite non starebbe mai in ordine. La prossima volta che fletti il gomito, pensaci: c’è anche lui a lavorare in silenzio per te!

Ci vediamo lunedì prossimo con un’altra curiosità del corpo umano.. sempre con il sorriso! 😁

01/11/2025

Ed eccoci nuovamente alle porte del fine settimana, per un nuovo episodio di "Patologie Spiritose: tra curiosità e leggerezza"! Oggi parliamo di una condizione che molti scoprono per caso, magari guardandosi allo specchio o dopo uno sforzo: la diastasi addominale. Sì, perché a volte anche i muscoli più uniti del corpo, i retti dell’addome, decidono di prendersi.. un po’ di spazio personale! 😜

Cos’è e dov’è?

La diastasi addominale è una separazione eccessiva tra i due muscoli retti dell’addome, quelli che normalmente formano la famosa “tartaruga”. Tra di loro c’è una struttura fibrosa chiamata linea alba, che può cedere o allungarsi, creando un “vuoto” visibile al centro dell’addome, soprattutto quando ci si alza da sdraiati o si tossisce.

In pratica: gli addominali smettono di fare squadra e lasciano spazio a una piccola “galleria centrale”.

Curiosità divertente

La diastasi è spesso chiamata “la crepa dell’addome”.. ma tranquilli, non serve stucco! È molto comune dopo la gravidanza (colpisce fino al 60% delle donne) e può comparire anche in uomini che fanno troppi esercizi addominali scorretti o aumentano di peso rapidamente.

Insomma, la “tartaruga” a volte non è rotta, si è solo un po’ allargata!

Come si sviluppa?

Durante la gravidanza o situazioni di pressione addominale elevata (come obesità o sforzi intensi), la linea alba si estende e perde tono. Dopo il parto o la riduzione del carico, la struttura dovrebbe retrarsi.. ma non sempre succede.

Quando la separazione supera i 2 cm, si parla di vera e propria diastasi.

I sintomi possono includere gonfiore o “bozzo” centrale sull’addome, debolezza del core e difficoltà nel sollevarsi da terra, mal di schiena lombare o senso di instabilità del tronco. Nei casi più importanti, disturbi digestivi o respiratori.

Nella vita quotidiana

La diastasi può essere più fastidiosa che dolorosa, ma influisce sulla funzionalità. Difficoltà nei movimenti che coinvolgono il “core”, maggior rischio di ernie ombelicali, sensazione di “cedimento” quando si tossisce, ride o si sollevano pesi.

Molti pazienti raccontano di sentirsi “molli” al centro, come se mancasse un punto di forza nel tronco.

Parole complicate, spiegate semplici

Linea alba: la fascia fibrosa che unisce i due muscoli retti addominali.

Retti dell’addome: i muscoli verticali dell’addome, protagonisti della “tartaruga”.

Core: insieme di muscoli che stabilizzano bacino e colonna.

Accenni di fisioterapia

La fisioterapia è fondamentale nel trattamento conservativo della diastasi addominale! Esercizi di rieducazione addominale profonda, come l’attivazione del trasverso dell’addome, per “ricucire” la linea alba dall’interno. Tecniche respiratorie mirate, per migliorare il controllo pressorio e la stabilità. Educazione posturale e gestione dello sforzo: imparare a sollevare, tossire e muoversi senza aumentare la pressione intra-addominale. Evitare crunch e addominali classici, che peggiorano la separazione.

Nei casi più gravi, può essere utile il supporto di un chirurgo per una plicatura addominale.

Curiosità scientifica

La ricerca mostra che la rieducazione funzionale posturale e respiratoria riduce la distanza tra i retti fino al 30-40% nei casi lievi e moderati. Inoltre, il recupero del trasverso dell’addome è considerato oggi l’elemento chiave per la stabilità del core e la prevenzione di recidive.

Conclusione

La diastasi addominale non è solo un “problema estetico”, ma un segnale che il corpo chiede un nuovo equilibrio. Con la fisioterapia, la consapevolezza e il lavoro sul respiro, si può “ricucire” la linea alba e ritrovare forza.. nel centro del corpo e della vita!

A sabato prossimo per il prossimo episodio! 🤗

31/10/2025

Tutti credono che il ginocchio vada “rinforzato”.

Falso.

Il ginocchio non chiede forza.. chiede chiarezza.

Guarda bene quest’immagine. Due muscoli, uno dentro e uno fuori: il vasto mediale, preciso come un chirurgo; il vasto laterale, potente come un bulldozer.

Quando lavorano insieme, la rotula scivola perfetta. Quando uno dei due prende il comando, il ginocchio comincia a urlare.

Per chi non è del mestiere..

Hai mai sentito quella fitta davanti al ginocchio quando sali le scale o ti alzi dalla sedia?

Non è l’artrosi.

È la tua rotula che non sa più da chi farsi guidare.
Il muscolo interno (vasto mediale) tira con precisione, il laterale spinge con forza. Se uno accelera e l’altro frena.. la rotula va fuori pista.

Per i colleghi clinici..

Disallineamento femoro-rotuleo da iperattività del VL e pattern descritto classicamente come “deficit di VMO”, spesso in catene anteriori dominate, con tilt rotuleo laterale e dolore antero-mediale. Pattern da “quadricipite disarmonico”: il ginocchio perde la capacità di centraggio dinamico.

La soluzione non è il rinforzo selettivo, ma il retraining coordinativo e propriocettivo del sistema quadricipitale.

E quindi?

Non chiedere al ginocchio di spingere. Chiedigli di coordinarsi. Il dolore anteriore non è una punizione: è un promemoria.

Il ginocchio non ha bisogno di muscoli forti.
Ha bisogno di muscoli che si parlano.

Fai questo test ora!

Siediti, distendi la gamba e guarda la rotula.
Si muove dritta o devia leggermente di lato?
Scrivilo nei commenti!

Il ginocchio non è fragile. È solo stanco di fare da arbitro a una lite tra due fratelli: il mediale e il laterale.

Post divulgativo a scopo educativo.
Non sostituisce la valutazione fisioterapica personalizzata.

P.s. Ci rendiamo conto che è un’eccessiva semplificazione la nostra, pensata solo per rendere più immediata la lettura dell’immagine. Tutto quello che è emerso nei commenti è assolutamente corretto e prezioso: ognuno ha aggiunto un tassello importante a un tema che, in realtà, è molto più complesso e affascinante.

Invitiamo tutti a leggere i commenti con spirito critico e curiosità, perché lì dentro c’è davvero la parte più bella di questa storia: il confronto, la condivisione e la voglia di crescere insieme, professionisti sanitari e non, intorno alla meraviglia del corpo umano. 🫶

30/10/2025

Tutti credono che il dolore all’anca venga dai muscoli che si muovono.

Falso.

A volte viene da quelli che non si parlano più.

Guarda bene quest’immagine.
Lo psoas tira giù la colonna.
Il gluteo medio prova a tenerla su.
Il piriforme s’innervosisce.
E lo sciatico, poverino, passa in mezzo come un coinquilino che ha smesso di salutare.

Non è un gruppo muscolare.
È un triangolo amoroso tra bacino, colonna e respiro. E quando uno dei tre si sente trascurato.. indovina chi si lamenta?

Il dolore.

Provalo subito!

Appoggia una mano sull’inguine e una sul gluteo.
Respira lentamente.
Quale si muove per prima?

Se parte quella davanti, lo psoas comanda.
Se parte quella dietro, il gluteo risponde.
Se non si muove nulla.. il corpo ha messo il silenzioso. 🤭

Scrivilo nei commenti: davanti, dietro o fermo?
Scoprirai che ognuno di noi respira in modo diverso.. ma solo chi respira bene cammina leggero.

Per i colleghi clinici

Dominanza anteriore, iperattività psoas–TFL, inibizione gluteo medio e instabilità pelvica. Rieducare la sinergia psoas–diaframma–gluteo significa restituire feedforward stability e decompressione lombare.

Tradotto: quando il respiro non guida, la catena profonda si difende, non funziona.

E quindi?

Non chiedere al corpo di diventare forte.
Chiedigli di ritrovare la conversazione.
Ogni dolore è un messaggio in attesa di essere tradotto.

Lo psoas è il filo che unisce cervello, respiro e cammino.

Hai mai sentito “tirare” davanti all’inguine o dietro al gluteo quando ti alzi dal divano?
Scrivi nei commenti DOVE lo senti di più.

Post divulgativo a scopo educativo.
Non sostituisce la valutazione fisioterapica personalizzata.

27/10/2025

È lunedì, e come sempre torniamo con un nuovo episodio di “Anatomia Spassosa: esploriamo il corpo umano con un sorriso!” 😄

Oggi parliamo di una membrana con un nome solenne, quasi regale: la membrana tectoria!

Il nome lo dice già: “tectoria” deriva da tegere, cioè coprire, proteggere. Ed è esattamente quello che fa: è il mantello fibroso che riveste e protegge la giunzione più delicata della nostra colonna, quella tra il cranio e le prime vertebre cervicali.

Cos’è e dov’è?

La membrana tectoria è una estensione del legamento longitudinale posteriore. Origina dalla superficie posteriore del corpo dell’epistrofeo (C2), risale verso l’alto e si inserisce sulla superficie interna dell’osso occipitale, davanti al forame magno.

In pratica: è una coperta fibrosa che unisce cranio e colonna cervicale alta.

A cosa serve?

Stabilizza la giunzione cranio-cervicale (tra cranio, atlante e epistrofeo), copre e protegge i legamenti più profondi, come il legamento crociato dell’atlante e i legamenti alari, limitando i movimenti eccessivi di flessione e rotazione della testa.

È un po’ come una “fodera interna” che rinforza la capsula articolare e tiene tutto al sicuro.

Funzionamento buffo

Immagina un mantello che nasconde i supereroi sotto di sé. La membrana tectoria fa esattamente questo: copre e protegge i legamenti profondi che impediscono all’atlante e all’epistrofeo di “sbracare” troppo.

È il bodyguard silenzioso della giunzione cranio-cervicale!

Curiosità scientifica

È talmente importante che una sua lesione traumatica (per esempio in incidenti ad alta energia) è un segno di instabilità grave della giunzione cranio-cervicale.

In neurochirurgia e radiologia, è un marker fondamentale per valutare la stabilità dopo traumi o patologie degenerative.

Alcuni autori la considerano un “vero e proprio legamento cranio-cervicale” più che una semplice estensione del legamento longitudinale posteriore.

Nella vita di tutti i giorni

Non la senti, non la vedi.. ma ogni volta che fai un inchino, annuisci, giri la testa con decisione.. la membrana tectoria lavora per impedire eccessi e garantire sicurezza.

Parole complicate, spiegate semplici

Atlante (C1): prima vertebra cervicale.

Epistrofeo (C2): seconda vertebra cervicale.

Forame magno: grande foro alla base del cranio da cui passa il midollo spinale.

Legamento longitudinale posteriore: banda fibrosa che corre dietro ai corpi vertebrali.

Come può soffrire?

Traumi cervicali gravi (distorsioni, lussazioni, fratture), instabilità cranio-cervicale (es. in malattie reumatiche come artrite reumatoide), lesioni degenerative (assottigliamento o perdita di tensione) e compressioni neurologiche se cede e non protegge più correttamente.

Momento educativo leggero

Proteggi la tua giunzione cranio-cervicale! Attenzione a colpi di frusta e traumi del collo. Cura la postura, perché il capo proiettato in avanti aumenta lo stress su questi legamenti e allenati con movimenti controllati e dolci, non con strattoni!

Conclusione con sorriso

La prossima volta che annuisci o fai “no” con la testa, pensa che lì dentro c’è la tua membrana tectoria: un piccolo mantello nascosto che veglia silenzioso per proteggere il collegamento più prezioso tra cervello e colonna.

Ci vediamo lunedì prossimo per un’altra avventura nel corpo umano.. sempre con il sorriso! 😁

24/10/2025

Tutti pensano che gli adduttori servano solo per chiudere le gambe.

Falso: il grande adduttore è il muscolo più frainteso del corpo, perché fa molto di più che “stringere le cosce”.

Guarda l’immagine: non è un solo muscolo, ma due in uno. La porzione pubofemorale (in blu) è più anteriore e lavora da flessore, la porzione ischiocondilare (in rosso) è più posteriore e agisce da estensore. In pratica, è un muscolo che cambia funzione a seconda della posizione dell’anca.

Per chi non è del mestiere: è come un elastico con due anime opposte, che decide se spingerti o tirarti in base a come ti muovi.

Per i colleghi clinici: parliamo di un muscolo biarticolare con duplice innervazione (otturatorio e tibiale del nervo sciatico), ponte funzionale tra catene anteriori e posteriori, fondamentale nella stabilità pelvica e nel controllo eccentrico durante l’appoggio monolaterale.

E quindi? Significa che dolore inguinale, pubalgia o tensione posteriore non vanno mai letti in modo isolato: dietro c’è un muscolo camaleontico che lavora su due fronti.

Qualcuno dirà: “parli di catene miofasciali, di doppia innervazione.. paroloni”.

Tradotto: il grande adduttore è il muscolo che non sa scegliere da che parte stare, e proprio per questo tiene insieme il bacino.

La buona notizia? Se impari a farlo lavorare bene, la tua anca ringrazia, la schiena respira e la camminata diventa finalmente.. simmetrica.

Indirizzo

Via Edmondo Vicentini, 67
L'Aquila
67100

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