02/11/2025
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Questa fotografia inquietante del 1950 cattura molto più di un momento clinico.
È il ritratto muto di una battaglia invisibile.
Si vedono bambini sdraiati all’interno di enormi macchine cilindriche chiamate “polmoni d’acciaio”.
Non è fantascienza. È storia. È realtà.
Quei dispositivi erano l’unica possibilità di sopravvivenza per chi, colpito dalla poliomielite, aveva perso la capacità di respirare da solo.
La poliomielite era una malattia che terrorizzava il mondo, soprattutto i genitori.
Colpiva in fretta e spesso lasciava dietro di sé bambini paralizzati, prigionieri del proprio corpo.
Il polmone d’acciaio non guariva, ma manteneva in vita. Funzionava creando un’alternanza di pressione che simulava la respirazione naturale: spingeva l’aria dentro e fuori dai polmoni, un respiro artificiale ma necessario.
Dentro quella macchina, la vita era un’attesa.
Si poteva solo muovere la testa. Tutto il resto era immobile, affidato alle mani delle infermiere: per mangiare, leggere, giocare, persino per piangere.
Poi, qualcosa cambiò.
Negli anni ’50, il dottor Jonas Salk sviluppò un vaccino. Un’invenzione che, nel giro di pochi anni, trasformò l’incubo globale in una memoria lontana.
La poliomielite cominciò a scomparire.
Un capitolo oscuro si chiudeva, non grazie al caso, ma grazie alla scienza, alla ricerca, e a una profonda compassione.
Questa immagine non è solo una finestra sul passato.
È un promemoria.
Di quanto abbiamo sofferto.
Di quanto abbiamo combattuto.
E di quanto abbiamo vinto.
Grazie alle cure. Grazie ai vaccini.
Grazie alla speranza che non si è mai arresa.
Piccole Storie.
“𝐹𝑜𝑡𝑜 𝑑’𝑎𝑟𝑐ℎ𝑖𝑣𝑖𝑜: 𝑏𝑎𝑚𝑏𝑖𝑛𝑖 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑣𝑒𝑟𝑎𝑡𝑖 𝑖𝑛 𝑚𝑎𝑐𝑐ℎ𝑖𝑛𝑎 “𝑖𝑟𝑜𝑛 𝑙𝑢𝑛𝑔” 𝑑𝑢𝑟𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑢𝑛’𝑒𝑝𝑖𝑑𝑒𝑚𝑖𝑎 𝑑𝑖 𝑝𝑜𝑙𝑖𝑜𝑚𝑖𝑒𝑙𝑖𝑡𝑒 𝑛𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑛𝑛𝑖 ’50. 𝐹𝑜𝑛𝑡𝑒: 𝑎𝑟𝑐ℎ𝑖𝑣𝑖 𝑝𝑜𝑙𝑖𝑜𝑚𝑖𝑒𝑙𝑖𝑡𝑒 𝑈𝑆𝐴.”