12/10/2025
📍 Il familiare non aspetta il permesso di nessuno.
Qualche giorno fa, in un gruppo di pazienti e familiari, ho visto la foto di una figlia che aveva costruito da sola un tutore per la mano spastica della madre che aveva avuto un ictus: una base di cartone, un po’ di scotch, e tanta buona volontà.
Un gesto che mi ha colpito, non tanto per l’efficacia del risultato, quanto per ciò che rappresenta.
Perché insisto così tanto sull’importanza del coinvolgimento della famiglia nel percorso di recupero, anche se la comunità clinica spesso guarda con diffidenza a questo tema?
Perché, semplicemente, il familiare non aspetta il permesso di nessuno per partecipare.
Lo fa. Lo fa come può.
Guidato dall’amore, dall’istinto, o da ciò che legge su internet.
E così, inevitabilmente, qualcosa mette in pratica, anche se a volte in modo non coerente con il progetto terapeutico del professionista.
E allora tanto vale fare una scelta diversa:
👉🏻 non respingere il familiare, ma guidarlo,
👉🏻 non escluderlo, ma renderlo un alleato terapeutico fondamentale.
È vero: il supporto familiare ha tanti limiti.
Ma anche il supporto clinico, ciò che oggi viene offerto al paziente post-ictus, non è perfetto: né per quantità, né per qualità.
Forse è arrivato il momento di ammetterlo e di investire tempo e risorse nell’empowerment del nucleo familiare, coinvolgendolo in modo strutturato e consapevole nel percorso riabilitativo, quando questo è possibile.
Perché solo così possiamo dare continuità alla terapia, trasformando la casa e chi la abita, in una parte viva del processo di recupero.
E forse è proprio da lì che dovrebbe ripartire la riabilitazione:
dall’incontro tra la competenza del professionista e la cura autentica del familiare.
P.S. A chi ha realizzato quel tutore: spero che queste parole non suonino come una critica, ma come un segno di profonda stima.
Nel suo gesto si vede tutta la energia, la dedizione e l’amore che abitano in una famiglia che vuole aiutare il proprio caro.
Ma si vede anche un grande bisogno di guida professionale, perché quell’energia, se ben orientata, può diventare una forza terapeutica straordinaria.